Ciò che più colpiva di Vincent Price era lo sguardo.

Colpivano quegli occhi azzurro chiaro, spesso incorniciati in un cipiglio esasperato, a volte inquietante, a volte autoironico, sempre irresistibile, che sapeva spaventare e commuovere, minacciare e rassicurare. Colpiva quel suo modo di fissare il vuoto, grave e sofferente, con cui ha saputo portare sullo schermo in maniera magistrale le gesta di uomini talvolta malvagi e privi di scrupoli, ma anche, e soprattutto, soli, tristi, prostrati dalla sofferenza e dal destino avverso. Difficile, se non impossibile, individuare il vertice di una carriera cinematografica che, tra il 1938 e il 1990, lo ha visto interprete di oltre un centinaio di film, forse non sempre di alto livello, ma per i quali la sua presenza ha rappresentato un valore aggiunto, un valido motivo per guardarli. Certamente, però, tra le pellicole che lo hanno visto come protagonista, un posto d'onore va riconosciuto proprio a "Oscar Insanguinato".

Il film, settima pellicola dell'inglese Douglas Hickox, narra le macabre gesta di Edward Lionheart (attore shakespeariano apprezzato dal pubblico, ma sistematicamente stroncato e sbeffeggiato da una cricca di "autorevoli" critici), che, in seguito all'ennesimo riconoscimento negato, all'ennesima umiliazione, deciderà di farla finita, gettandosi nel Tamigi sotto gli occhi increduli della figlia. Salvatosi miracolosamente, attuerà la propria vendetta, uccidendo uno alla volta proprio quei critici che gli avevano rovinato l'esistenza, ispirandosi per ogni omicidio, ad una tragedia dell'immortale bardo. Trattasi, evidentemente, di una trama tutt'altro che originale. In primo luogo, infatti, l'idea della vendetta a tema, così come l'eliminazione sistemica dei coprotagonisti, rientrano fra i topoi più diffusi e utilizzati della letteratura gialla. In secondo luogo, ben prima dell'uscita di questo film, sullo stesso schema narrativo erano già state prodotte alcune pellicole (es: "La sposa in nero" di Truffaut), tra le quali spicca certamente l'ancor oggi godibilissimo "L'Abominevole Dottor Phibes", di soli due anni precedente, che annoverava lo stesso Price come protagonista, e di cui "Oscar Insanguinato" può considerarsi una sorta di rilettura. Proprio come era avvenuto nella pellicola di Fuest, infatti, anche il soggetto di "Oscar Insanguinato" finisce per essere viziato da quelli che possono considerarsi i due principali limiti "fisiologici" di un tale soggetto: eccessiva prevedibilità e carenza di ampi margini di manovra nello sviluppo della vicenda. Tant'è che nemmeno il film di Hickox, sebbene superiore al suo predecessore, riesce ad evitare di incappare in qualche forzatura (su tutte la sequenza dell'amante-massaggiatore), e in qualche colpo di scena tutto sommato piuttosto "telefonato" (es: la vera identità dell'assistente barbuto di Lionheart).

La grandezza di questa pellicola, tuttavia, non va ricercata nella trama, ma nel gioco di contrasti, nell'impietoso umorismo nero che è possibile cogliere anche nelle scene più macabre, nella dissacrante ironia che accompagna quelle più solenni e drammatiche. Amore, morte, dolore, arte.. tutto ciò che sembra esservi di sacro e "alto" nell'esistenza umana pare finire sotto l'impietosa mannaia di una vicenda in cui orrore e commedia vengono dosati e miscelati con sapiente accortezza, con cinica cognizione di causa. La drammaticità del suidicio di Lionheart viene accompagnata da un coro di risate al limite dell'isterismo collettivo, l'amore di uno dei critici per la propria moglie viene ridicolizzato e strumentalizzato, la sacralità del teatro viene profanata al punto da rendere un luogo d'arte il dormitorio di un gruppo di barboni avvinazzati. L'efferatezza degli omicidi, talvolta ostentata con compiaciuti primi piani, viene costantemente stemperata e diluita da un qualche elemento di assurdità (se non addirittura di comicità), che conferisce ad un film dal forte sapore grand guignolesco, un taglio quasi umoristico (esemplare, a questo proposito, l'omicido della povera Coral Browne che viene fulminata con un casco per capelli da Lionheart vestito da parrucchiere fricchettone, in una kitchissima rilettura del rogo di Giovanna D'arco dall'atto primo del Riccardo VI).

Ma è soprattutto la performance di Price ad essere superlativa. Il personaggio di Lionheart offre, finalmente, all'attore la possibilità di esprimersi al meglio, di mostrare e dimostrare una volta per tutte la duttilità del suo recitare: con agilità "equestre", da vero camaleonte del palcoscenico, Price muta abito e registro in continuazione, passa dall'esasperata teatralità del monologo del Giulio Cesare, ai panni di uno chef di un programma televisivo, fino a trasformarsi, in una delle scene più funamboliche di tutta la pellicola, in un abile schermidore. La sua è la maschera mutevole della follia e dell'amore, della sete di vendetta che non conosce incertezze e della disperazione di chi ha perso tutto. Il suo Lionheart è molto più del classico maniaco omicida da film dell'orrore: è un uomo fiero e ferito, umiliato e con una disperata voglia di riscatto.

Quello di Price non è solo esercizio di stile: è divertimento, è amore per il proprio mestiere. È bravura.

Davvero, in questo caso, realtà e finzione si confondono: il dramma di Lionheart è il dramma dello stesso Price, che, per buona parte della sua carriera, dovette subire la disapprovazione di quella critica "alta" che lo accusava di essersi impaludato in un genere minore come l'horror, dimenticandosi colpevolmente dei suoi studi, della sua cultura e, non da ultimo, delle sue capacità. Ecco, allora, che "Oscar Insanguinato" finisce per portare una denuncia nemmeno troppo velata ad un certo tipo di critica snob ed elitaria, di cui le vittime della vendetta di Lionheart paiono essere i degni rappresentanti: un gruppo di intellettualoidi presuntuosi e viziosi, feroci nello stroncare il lavoro altrui, sadici nel godere delle sconfitte e delle umiliazioni di chi non rientra nei loro favori, troppo presi a "darsi un tono" per riconoscere la grandezza di un artista che ha saputo raccogliere meritevolmente i favori del pubblico.

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