Fedele alla linea, quando giovincello iniziai a sbandare per il punk inglese mi convinsi ad occhi e soprattutto orecchie chiuse che il pub rock fosse un'emerita porcata, Johnny Rotten e qualche altro dei teppistelli che girovagavano per le strade di Londra mica potevano avere torto, suonavano musica che mi appassionava troppo e, se schifavano qualcosa, quella cosa faceva schifo per davvero: basta pensare al prog, i punk schifavano il prog, io avevo sentito alcuni dischi prog del mio fratellone e mi facevano discretamente schifo, quindi Johnny Rotten aveva ragione da vendere. Per il pub rock nemmeno mi diedi pensiero di ascoltare qualcosa, mi fidai a occhi e orecchie ben chiuse, appunto.

Perchè certe frange punk ce l'avessero a morte col pub rock mica l'ho capito ancora oggi, mi sa che fosse per questioni di conflitto generazionale, quelli che suonavano il pub rock erano un po' più grandicelli di quelli che suonavano il punk e poi si rifacevano a musica vecchia come il cucco, il blues, il rock'n'roll, la musica che ascoltavano i nonni e i genitori di quegli scavezzacollo di Johnny e dei suoi compari: nè Elvis, né i Beatles e neppure i Rolling Stones erano fonti di ispirazione, erano il nemico, e se i vecchi sognavano infinite liste della spesa, Johnny e gli altri erano destinati a finire come i fiori nella pattumiera e di futuro neanche a parlarne, si cercava solo di sopravvivere al nulla.

Poi i Clash tirarono fuori «London Calling», se ne andarono negli Stati Uniti, aprendo i concerti degli Who, pure allo Shea Stadium, quello dove i Beatles erano definitivamente volati in orbita, e così mi venne il dubbio che la storia del “noi contro loro” fosse in fondo una gran cazzata, utile solo ad alzare un po' di polvere.

Poi vennero i Ramones – loro ci stanno sempre ovviamente – e quella cosa che disse Johnny Ramone, che aveva messo in piedi quel gruppo e che avrebbe fatto di tutto per tenere lontana la merda hippie, testuali parole.

E in fondo pure quelli che suonavano il pub rock volevano spazzare via la merda hippie e riprendersi la soddisfazione di urlare che la musica era carne e anima ma pure sudore, lacrime e sangue ma pure gioia e rivoluzione e che tu, che stavi sotto al palco, col boccale della birra in mano per dimenticare dieci stramaledette ore passate alla catena di montaggio, mica eri poi così diverso da noi che stavamo sopra a quel palco col boccale della birra piazzato sul Marshall 100 watt solo per strappare la nostra vita dagli ingranaggi di quelle macchine da tempi moderni, e allora, cazzo, datti una sveglia, imbraccia una chitarra, impara tre accordi e saltaci su pure tu, sul palco.

Johnny Ramone aveva capito tutto, altro che Johnny Rotten, e alla fine, quando metto la mano sul fuoco che i Ramones sono il vangelo del punk e i Pistols degli umilissimi profeti, nemmeno i prediletti, significa che alla fine ho capito tutto pure io.

Nel mezzo c'era stato pure il colpo di fulmine per Graham Parker che, pare, si dice, venisse fuori proprio dal calderone pub rock.

E allora deviai dalla linea e diedi una possibilità al pub rock.

Ai Dr. Feelgood per primi, facile facile, chiunque mi suggeriva loro per approcciarmi al genere. E poi quel nome, il dottor Benessere, Aretha Franklin che mi sarebbe piombata addosso qualche secolo dopo, e l'amore che è una faccenda dannatamente seria.

E siccome è un dato di fatto che i primi album sono sempre i migliori, ecco uno dopo l'altro «Down by the Jetty», «Malpractice», «Stupidity» e «Sneakin' Suspicion».

Che poi fanno 4 album nel giro di 2 anni, tre in studio e uno dal vivo, pari pari i Ramones, e chi si azzarda a dire che il pub rock con la filosofia punk avesse poco a che fare non ci ha capito niente, come me quando ero ottuso dalla fedeltà alla linea.

Che poi sono gli album dove ci sta Wilko Johnson.

Insieme a Lee Brilleaux.

Wilko mica sa suonare, fa tre accordi, sempre gli stessi, proprio come Johnny Ramone, oltre il barrè ed i power chords il nulla. Come no, provateci voi a suonare un'ora filata alla maniera di Wilko e Johnny, col sudore che vi cola dalla faccia e dalle braccia e vi infradicia il manico della chitarra, mischiandosi al sangue che ancora esce dai polpastrelli quando ai calli capita di spaccarsi come un melone, mentre vi dimenate come ossessi, con tutta quell'elettricità che vi entra dentro e vi possiede. Ebbe a dire il signor Mosrite – quello che costruiva la chitarra a Johnny Ramone – che uno che suonava come lui, in gamba come lui, non c'era mai stato e mai ci sarebbe stato.

A parte Wilko, questo lo dico io. Wilko che pareva una marionetta impazzita, avanti e indietro, avanti e indietro, a macinare chilometri su quel palco, in moto perenne, senza pace, come un'animale in gabbia. Wilko che Johnny Ramone (forse) nemmeno lo conosce ma ha lo stesso identico spirito e più tecnica, sa fare le pennate pure all'insù e di tanto in tanto piazza nelle canzoni 20 secondi di assolo. Wilko che, pochi anni fa, i medici gli diagnosticano un tumore al pancreas allo stato terminale, gli danno pochi mesi di vita e lui manda affanculo tutti i medici, manda affanculo il tumore, il tumore capisce che non è aria e molla la presa e Wilko fa un album con Roger Daltrey, così tanto gozzovigliare un po' tra arzilli reduci e per ribadire il concetto, chi è che comanda. Wilko che l'elettrica è come una mitragliatrice, come Jimi Hendrix, come Pete Townshend. Se siete troppo colti per il dottore e nei pub non ci mettete piede perché c'è puzza di sudore, piazzate un video con Wilko, abbassate pure il volume, e capirete tutto all'istante.

Lee è quello che sta in prima linea, con Wilko che gli copre le spalle colla chitarra a mo' di mitraglia, afferra il microfono, ci sputa dentro qualche ruvida storia di quelle che l'amore è una faccenda tanto seria e da starci male, come i padri e le madri del blues e del soul gli hanno insegnato, e poi si mette a soffiare come un forsennato nell'armonica a bocca, perché mica gli assoli li può reggere Wilko tutto da solo. Sempre in giacca, mai in cravatta, capelli corti sempre scarmigliati, sudore che abbonda. Lee che invece non ce la fa e muore a 40 anni, per un tumore, forse perché Wilko non è più lì a coprirgli le spalle, colla sua elettrica mitragliatrice. Per il poco che ci ho capito, mi pare tanto come Paul Weller meno raffinato, meno sofisticato, e magari questa è la differenza che passa tra pub rock e revival mod. A chi piacciono i Jam, però, ci scommetto quello che volete che i Dr. Feelgood piacerebbero molto.

Con «Down by the Jetty» Lee e Wilko uscivano dal pub, portandosi dietro tutti i migliori stereotipi del genere, e provavano a cantarli al mondo, ma il mondo non è che ascoltò granché – a parte «Stupidity» che arrivò pure ai vertici delle classifiche, Johnny Rotten prendi e porta a casa e impara come si fa – e quelli che non hanno capito tutti a dire che è perché loro, Lee e Wilko, non è che avessero molto da dire.

Io, che ho già scritto troppo, vi dico solo di calare la puntina su «She Does It Right», «Roxette», «Keep It Out of Sight» e «All Through the City» e capirete all'istante tutto pure voi.

Poi, se non vi piacciono, problemi vostri, il dottor Feelgood se ne farà una ragione, come se l'è fatta sempre.

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