Kaos One, DJ Skizo, Sean e Dre Love sono nomi che chiunque s'intenda un minimo della scena Hip-Hop italiana non può non conoscere. Tale affermazione può suonare alquanto buffa dato che il disco in questione è rappato interamente in inglese e Sean e Dre hanno i propri natali rispettivamente a Città del Capo e New York. Ma stiamo parlando di una delle primissime crew che abbiano mai calcato i palchi della penisola, i cui primi passi risalgono a molto prima dell'uscita del disco e per cui il contatto con dei madrelingua anglofoni è stato probabilmente indispensabile per arrivare a codificare l'arte di comporre versi in rima.

Siamo nel 1994: a Bologna i Sangue Misto (altro gruppo che non necessita presentazioni) danno alle stampe quello che negli anni verrà spesso indicato come l'apice del Rap in lingua di Dante, segnando in pratica il passaggio da "scena Posse" a "scena Hip-Hop", i milanesi Radical Stuff guardano più esplicitamente e direttamente a quanto proveniente da South Bronx, Brooklyn e Queensbridge. Sarebbe però profondamente ingiusto voler ettichettare "Hardswallow" come un mero scoppiazzamento degli stilemi provenienti da oltre oceano: pur strizzando più d'un occhio ai dischi americani del periodo il suono ha una sua personale identità.

Le produzioni di Skizo consistono in una semplice ed efficace ricetta a base di batterie granitiche (ascoltate "I Don't Give A Fuck" per capire cosa intendo...), bassi profondi al minimo della pulizia e campioni (in particolare fiati) mutuati da vecchi vinili Jazz e Funk, come nella migliore tradizione del genere. A ciò si aggiungono i sui ottimi scratch e le parti suonate dai Lo Greco Bros, band di notevole spessore con cui la crew ha spesso collaborato arrivando a realizzare un paio d'anni prima un album registrato dal vivo.

Che dire poi degli MC's? Ognuno dotato del suo riconoscibile stile: Kaos con il suo ormai celebre timbro vocale rauco e rabbioso, Sean fluido e musicale e Dre, tecnicamente impeccabile e pregno di classe, sfruttano al meglio cotanto tappeto sonoro. Difficile segnalare una traccia che spicchi sulle altre: ogni brano è realizzato con estrema cura, segno probabilmente di una gestazione lunga e ponderata. Restano certamente impressi l'allegra spensieratezza di "Summer Fever", le minacciose ed energiche "Don't Test Me", "Stop Frontin" e "Hip-Hop Ganxta", la trascinante "On Tha Run" (classico pezzone da jam!) e il concentrato di stile hardcore in "Same All Jazz".

Liricamente parlando l'album non brilla particolarmente per originalità, gli argomenti trattati son bene o male gli stessi in tutte le tracce: orgoglio per le proprie scelte artistiche, continua marcatura della differenza tra "hardcore rappers" e millantatori, esaltazione delle proprie capacità, un pò di sano cazzeggio e insomma quelle 3-4 cose che non possono mancare in un disco Hip-Hop dai tempi di "Rapper's Delight". Ciò, sia ben chiaro, non toglie minimamente valore all'album (siamo pur sempre nel '94!) e anzi, fa emergere ancora più violentemente la passione di questi ragazzi, che pur di poter avere voce in capitolo in questo movimento culturale che li ha totalmente catturati, dovettero certo studiare duramente per assimilare linguaggi e suoni distanti anni luce dai costumi del loro paese d'origine.

In buona sostanza, ogni B-Boy italico che si reputi degno di tale nome dovrebbe procurarsi (non chiedetemi come...) questo disco. Suonerà inevitabilmente datato, l'ascolto per intero può risultare pesantuccio (21 tracce per 73 minuti di musica) e i tempi sono certamente cambiati. Ma è proprio per mantenere viva quella spinta positiva, quella fame di conoscenza, quel puro piacere di creare qualcosa per il gusto di farlo (oltretutto in un periodo in cui ben pochi avevano i mezzi per apprezzarlo) che andrebbe periodicamente rispolverato. Quei giorni sono passati, ma ho ragione di credere che se le nuove leve guardassero un pò di più allo spirito dei pionieri che ai fenomeni del momento, si farebbero un'idea più chiara su cosa significa ESSERE HIP-HOP.

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