Ogni volta che si arriva a fine anno in campo metal c'è il tristissimo gioco delle classifiche: miglior disco dell'anno, miglior gruppo, peggior disco, peggior gruppo, rivelazione, disco italiano (come se fosse una categoria per minorati… ) ecc. Ancora più triste è la mia condizione, dato che vivo nel passato, e mi capita raramente di comprare nuovi dischi.
Per una volta però posso dire la mia, e mi sento sinceramente di affermare (che liberazione!) che tra i migliori gruppi metal dell'anno possono annoverarsi gli ucraini Drudkh. Ucraini? Drudkh? Certo questi ragazzi non sono tra i nomi più noti del panorama estremo, ma credetemi sono uno tra i progetti più interessanti e genuini di questi anni.
I Drudkh ("quercia" in sanscrito) sono nati qualche anno fa come side-project di Hate Forest e Lucifugum diventando il gruppo principale di Thurios e Roman Saenko. "Songs Of Grief And Solitude " è il secondo disco ad uscire nel 2006, dopo l'ottima prova del precedente "Blood In Our Wells": è questa sorprendente continuità che mi ha fatto pensare a loro come ad uno dei riferimenti di quest'anno ormai passato.
Dopo una serie di dischi spesi a portare ai massimi livelli il loro peculiare stile (d'obbligo un'ascoltatina ad "Autumn Aurora"), un miscuglio davvero significativo di Folk e Black, dalle forti tinte Depressive, i Drudkh decidono che è il momento di scrivere un album interamente acustico, ispirato alle atmosfere del loro paese (non sarà la Norvegia ma vi assicuro che la tristezza alberga anche qui). In sé questo chiarimento non dovrebbe più sorprendere, dato che la maggior parte (diciamo tutti) dei gruppi Black Folk ha dedicato un capitolo della propria discografia a queste sonorità extra-metalliche (Kveldssanger degli Ulver è il modello): a tutt'oggi però nessuno ha composto un disco come "Songs Of". E non sto parlando assolutamente in termini di qualità, ispirazione o adesione al patrimonio musicale della propria terra. Mi riferisco all'atmosfera che un disco di tale spessore si porta dietro.
Questa unicità è creata attraverso alcuni espedienti piuttosto rari in un disco di tale genere (e sono gli elementi che la critica ha stroncato in sede di recensione): il disco è assolutamente privo di ogni traccia vocale; le melodie sono affidate ad una coppia di chitarre, talvolta accompagnate da strumenti tradizionali, in gran parte fiati, e da brevi parti Ambient, con campionamenti di vita agreste. Niente cori alla Ulver, niente Humppa alla Finntroll. Niente di tutto questo. Oltretutto (come se ciò non bastasse direte voi) le composizioni hanno struttura semplice, spesso ripetitiva e monocorde. Tutto questo l'ho scritto per mettervi i guardia da ogni velleità di acquisto, spinti (sempre che siate fan di queste sonorità) ad accaparrarvi ogni singolo disco legato al Black-Folk. Ora viene da chiedersi: perché un voto così alto? E soprattutto, perché comprarlo?
Ebbene, "Songs" è un disco che fa della povertà di mezzi uno strumento utilissimo, trasformando i limiti in pregi. Il disco trasuda un gelo soffertissimo, doloroso e sentito con sincerità: la struttura semplice e ripetitiva dei brani, messa in rapporto con la durata a volte molto alta dei capitoli, fa si che l'animo si perda nei propri pensieri, accompagnato da note che hanno un cuore dolente, ma ricoperto da un involucro melodico e limpido. L'impressione è quindi quella di un disco arioso (il vero marchio di fabbrica della band, anche quando sfocia in territori black metal), solare e distensivo: ma quando la musica finisce si prova soltanto una sensazione di vuoto, di mancanza.
I capitoli sono tutti differenti gli uni dagli altri, e si alternano attimi più movimentati, dal sapore più tipico e popolare, ad altri più lunghi, sofferti e ripetitivi, quasi ambient nel piglio. Il capolavoro del disco è forse "Why The Sun Becomes Sad", dove agli intrecci delle chitarre si uniscono il basso e fiati, per creare degli incastri molto affascinanti; ma si potrebbero citare anche "Milky Way", il brano più lungo, dove la ripetitività del motivo portante genera desolazione e sconforto, e "Sunset In Carpathinans", che apre il disco con i suoi flauti impazziti, che formano con la chitarra un pezzo debitore delle atmosfere locali. I Drudkh suonano una musica molto più assimilabile per noi di quella norvegese: il gelo creato dalla musica nordica è richiamato da immagini di distese innevate, lande ghiacciate; quello degli ucraini ha invece la desolazione della miseria della campagna, dove non cresce nulla, delle steppe spazzate dal vento.
Dateci un ascolto.
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