Sfatiamo immediatamente un luogo comune piuttosto esteso nella comunità prog: I Druid non sono esattamente quello che può essere definito un "clone" degli Yes. Certo, le sonorità sono quelle, non c'è alcun dubbio a riguardo, però preferisco vederli come "seguaci" più che come copie spudorate della band di Jon Anderson & Co., con le proprie idee ed il proprio stile, per quanto derivativo. Insieme agli americani Starcastle, i quattro ragazzi inglesi, sono probabilmente quelli che hanno saputo utilizzare meglio lo yessound dei loro connazionali maestri, creando due dischi (soprattutto il primo) davvero degni di nota, nonostante, vista la data d'uscita, non facciano di certo gridare al miracolo.

L'identità musicale di questo "Toward the Sun" rispecchia un rock sinfonico molto più dolce e rilassato rispetto alla matrice Yes, come a confermare che, nonostante gli strumenti utilizzati siano pressoché gli stessi (voce androgina ricalcante il timbro di Jon Anderson, basso solista alla maniera di Chris Squire, certi arpeggi tastieristici vagamente "made in Rick Wakeman"...), la proposta musicale che ne deriva si discosta perlomeno parzialmente dalla fonte dalla quale attinge, dando un tocco di personalità all'opera, spesso automaticamente screditata per la sua mancanza di originalità.

Il disco è datato 1975 e vede come protagonisti il bassista Neil Brewer, il tastierista Andrew McCorie-Shand, il batterista Cedric Sharpley ed il chitarrista e cantante Dane (sì, solo Dane...), intenti a cimentarsi nell'esecuzione di composizioni magari carenti in quanto a complessità e tecnicismi, ma ricche di atmosfere vellutate e spunti melodici, ricamate perlopiù dai suoni caldi del mellotron e dai delicati arpeggi della chitarra, in evidenza soprattutto in pezzi lenti ed evocativi, incentrati ora sulle doti vocali e corali dei quattro (Remembering, Toward the Sun), ora sul malinconico suono scaturito dal piano di Andrew (Red Carpet for an Autumn). Il tastierista firma anche la coda dei brani più lunghi, caratterizzati però, nella loro interezza, dal continuo imperversare del reparto ritmico, individuato nel cupo e incisivo suono del basso di Neil e nella versatile batteria di Cedric, sempre pronta a mutare rotta con repentini ma eleganti cambi di andatura (Voices, Shangri La). La chitarra di Dane trova la sua dimensione ideale sia nei toni decisi e coloratissimi della strumentale "Theme", in cui fa la sua apparizione anche una trascinante incursione di sax, sia nelle arie maestose quanto accoglienti di "Dawn of Evening", avvolta per tutta la sua durata da un soffice e leggero velo di mellotron, presente comunque nella quasi totalità dell'opera.

Nel 1976, un anno dopo la pubblicazione del lavoro appena descritto, esce "Fluid Druid", ultimo e sottovalutatissimo album di un'altrettanto snobbata band che ha pagato a caro prezzo il suo ritardo nell'entrata del mondo prog, eclissandosi dopo appena due uscite discografiche, avvenute per l'appunto quando i tempi stavano ormai irrimediabilmente cambiando.

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