Ah, ecco... Voi pensavate alla Big Band, tutti vestiti uguali, elegantissimi, pettinatissimi e pieni di brillantina, strumenti luccicanti, tutti con gli scudi bianchi davanti ad ognuno con incise le iniziali del band leader... Stile e disciplina... Sì, vabbé.... Eh, sotto ai frac ci sono un branco di musicanti usciti quasi tutti dai peggiori quartieri di Chicago, New York, Los Angeles, i losangelini sono i peggiori..... Negracci, tedeschi, italiani, centramericani, tutti di talento, ecco, suoniamo nella migliore orchestra di jazz del mondo, quella del Duca.... Count Basie, mi dite? Non rido perché sono educato.
Paul il timido, il buono, che non litiga mai con nessuno, quello sono io. Magari bevo un po' più della media, ma nella sezione ance la media è già bella alta.... Certi ci mettono poco a venire alle mani e si regolano tra loro come avrebbero fatto nella downtown da dove provengono, poco ci manca che escano fuori i coltelli... Ah, no, una volta sono usciti... Beh, basta che una tromba allunghi di poco l'assolo che rovina l'entrata del sax, sembra che nessuno ci faccia caso ma poi, nei camerini, i due se le danno di santa ragione, si chiariscono. Il Duca, poi, l'improvvisazione ce la dosa come il chinino per la malaria, a gocce, e non a tutti... Sa che può fidarsi di noi solo quando siamo irreggimentati, ognuno col suo spartito, a volte, quando tiene troppo ad un brano, ci scrive anche gli assoli, nota per nota... Lui olia la macchina e la macchina fila che è un piacere, splendidamente programmata e perfettamente funzionante, scintillante come nessun'altra orchestra jazz....
Con lui si guadagna bene, niente da dire, ma è un egoista indifferente, dicono alcuni, mai un complimento. Non si fida di nessuno, però conosce i suoi solisti e sa come valorizzarli, ti dà un bell'assolo nel mezzo di "Caravan", per dire, e ti senti dio in Terra, allelujah, a fare da contraltare col tenore al trombone in sordina di Juan Tizol che "Caravan" l'ha scritta, lui col Duca, l'ha scritta ... E il Duca, al piano, ti guarda benevolo due battute prima dell'assolo, tu entri e non ti rivolge più lo sguardo per tutto l'assolo, poi dice il tuo nome al microfono, la gente applaude e lui, due battute prima, guarda l'esecutore dell'assolo seguente.
A ben pensarci, però, si fida del nanetto, di Billy Strayhorn, insomma, gran bel pianista e compositore sopraffino, ha scritto per il Duca, per intero, "Take the A Train", serve altro? Musica e arrangiamento. L'unico che il Duca consideri parte della sua famiglia, l'unico tra noi che lo chiama Edward, il suo nome... Però nella band non ci suona, il piccoletto, non regge le dinamiche del gruppo e poi il piano lo suona il Duca, non se ne esce. Poi si fida anche di Harry Carney, detto da sempre "Youth" perché cominciò col Duca che aveva diciassette anni, gran baritonista molto prima che arrivasse Gerry Mulligan, altroché.... Guida bene e gli fa spesso da autista, il Duca guida da schifo... Lui lo usa per far passare le sue scelte più avventate alla banda e Youth dice a tutti, quando il Duca non c'è: "Voi fate 'sto passaggio come dice lui, quando si accorgerà che è una stronzata sarà lui a toglierla, vedrete....". E puntualmente succede così..... Vecchi avanzi da dance hall che nemmeno si guardano, quando si sistemano, ma poi parte la musica, oh!
E poi arrivo io, nel 1950, tardi. Io venivo da Brockton ma i miei erano immigrati là da Capo Verde.
Ho suonato e fatto la guerra, sergente, ne sono uscito. Ho suonato di nuovo, quello sapevo fare. Io e il Duca ci siamo incontrati al Birdland, avevo sette dollari in tasca ma lì ci entravo gratis, ci mancherebbe altro. Ci siamo parlati, sapeva tutto di me, sapeva che avevo suonato con Count Basie e con Dizzy, mica male, il Duca era d'un'altra parrocchia ma conosceva Dizzy, Trane, Mingus e tutti i nuovi alfieri di un jazz che, guarda un po', si poteva suonare in trii e quartetti. Be-Bop l'aveva chiamato Dizzy, e Be-Bop era rimasto. Per il Duca non era la sua tazza di té ma lui non disprezzava mai niente e nessuno, specie il nuovo, drizzava le orecchie, il vecchio ti guardava mentre suonavi e ti contava le note, sapeva già tutto di te. "Ti voglio per sostituire Ben Webster", mi disse, e il gin mi andò per traverso. Sostituire Ben Webster, io? "Tu."
Ed eccomi, solista nella Duke Ellington Orchestra, io. Certo, non era più l'epoca delle grandi orchestre, tutte meno ingaggiate e tutte meno pagate, ora chi balla lo fa al suono di canzoncine melense, perlopiù eseguite da bianchi, piccoli gruppi melodici, uno schifo vero, e se cerchi jazz trovi il bebop, appunto, gruppetti di neri che suonano da dio, eccomenò, ma roba per pochi, dissonante, dico io, per pochi. I vecchi della band dicono che il Duca spesso ci paghi con soldi suoi, che ripiani gli ammanchi dovuti alla scarsità di ingaggi coi soldi fatti gli anni prima.
Ci capita quest'ingaggio a Newport RI, posto da ricchi, spiagge, barche. Ci fanno un festival jazz e ci andiamo. Pubblico bianco, regolare. Serata di luglio, calda ma non troppo, meglio. A Sammy Woodyard, il batterista, col caldo umido sudano le mani e lui scartavetra le bacchette perché non gli scivolino e rompe i coglioni a tutti. Poca voglia di suonare, stasera e il Duca, come al solito, fa finta di non vedere che mancano quattro o cinque musicisti. Capita, altro che disciplina ferrea, dieci anni fa li avrebbe licenziati in tronco, senza l'ultimo stipendio, ma oggi si limita a brontolare che non siamo giocolieri, siamo artisti, non ci si comporta così. Anche a me è capitato di indugiare al bar, ancora due o tre bicchieri e vado, quattro, diciamo, entro al secondo brano, barcollo un po' e poi vado a memoria.
Si attacca, siamo a due giorni dal Quattro Luglio e facciamo "The Star Spangled Banner", poi ci aspettiamo "Take the A Train", che è la sigla del Duca dal '40, no, si fanno "Black and Tan Fantasy" e "Tea for Two", ci vuole altro per smuovere applausi, pubblico freddino e musicisti che pensano ai cazzi loro, una serata di merda.
Allunghiamo il brodo, poi l'intervallo, il Duca smette, usciamo ed entra nonsochi, due o tre brani e poi di nuovo noi, al completo, stavolta, chi si era attardato in hotel con una ragazza o al bar con amici è stato rintracciato, si è vestito in fretta e furia e via sul palco, sorrisini ai colleghi, Cat rutta piano e gli altri gli danno di gomito, ma lui è Cat Anderson, persino i rutti fa intonati, lui. E poi digli qualcosa, pesa centoventi chili e ha un pugno che ti smembra.
Dài che si va, il Duca inizia "Take the A Train", tutti all'unisono, ora è diverso, è un crescendo pazzesco, è bellissima, sembra sempre nuova di pacca, siamo tutti gasati, alla fine. Ma il Duca ne fa una delle sue, introduce una nuova composizione che ha chiamato "Festival Suite", sarebbe stata meglio dopo, sussurra Cat, troppo articolata e lenta, ma la suoniamo bene, ci siamo scaldati, assoli giusti e stacchi stupendi, ci aspettiamo gli applausi ma gli spettatori parlano tra loro, si distraggono e restano freddini.... "Ci vuole uno stomp, ci vuole...." Mi sussurra Russell Procope, aggiustando l'ancia. E invece il Duca chiama Harry Carney che, col baritono, intona "Sophisticated Lady", un classicone che mandava giù i teatri, in genere, ma 'sti quattro buzzurri vogliono altro, roba vecchia, nostra, esplosiva. Il Duca si volta e ringrazia quei pochi che l'acclamano e gli altri che applaudono annoiati, poi sfodera il suo sorriso a sessanta denti e annuncia "un paio di blues che suoniamo dal '38", vecchio stronzo, te nei accorto che non è il pubblico europeo, questo, né quello di New York, qui vogliono la botta, l'orchestra all'unisono come tutti se la ricordano..... So che dopo il primo, che è "Diminuendo in Blue", corale, nervoso, verrà la sua naturale continuazione, "Crescendo in Blue", che il Duca da un po' ha unito all'altra per permettere a Ben Webster, prima di me, di fare un assolo di un paio di ritornelli. Mi guarda, mi alzo dalla fila dei sax e mi sistemo al posto dove in genere sta il cantante, mentre la prima parte finisce. Guardo il pubblico, il Duca al piano mi dà le spalle, per un paio di ritornelli il palco è mio. Contrabbasso e batteria filano a mille, ma sono Jimmy Woode e Sam Woodyard, due diavoli, tirano un tempo appena più veloce dell'originale, il Duca accenna gli accordi, chiudo gli occhi, un colpetto di lingua sulle labbra, poi l'ancia, parto.
Beh, uno, due, tre ritornelli, bello, mi sento bene, ora sento il Duca che sbatte le dita sugli accordi, le trombe che alzano il volume per dirmi di finire l'assolo, penso io. Quattro, cinque, sei, sette, esagero? Ma sì, ho quattro bourbon in corpo, vado avanti. Niente segnali, basso e batteria continuano a tenere il tempo. Occhi chiusi, Capo Verde, la mia chitarra che suonavo anni fa, Dizzy che mi dice che sono troppo legato, la mia ragazza che mi molla per un chicagoano, merda, otto, nove, stavolta il Duca mi caccia e no, invece no, lo sento, la sua voce metallica: "Dig in, Paul, come on...." E se lo dici tu io continuo. Dieci, undici, dodici ritornelli. nessuno complicato, io suono semplice, le note si devono sentire tutte, non so gorgheggiare come Trane, siamo diversi ma ci vogliamo bene, penso "Il prossimo ritornello lo faccio come Trane" e canno le prime tre note, lo faccio apposta e sembra davvero Trane.... E sono al quindicesimo ritornello. Sedici, uno differente dall'altro. Poi apro gli occhi e vedo una donna, una biondona tutta curve strizzata in tailleur nero che si alza e comincia a ballare, un'ossessa, la vedono anche gli altri, poi si alza un ragazzo, un altro, una ragazza, dieci, tutti in piedi, non smetto di fare assoli, venti, ventuno... da metà sala gli spettatori salgono sulle sedie, ballano in mezzo ai corridoi, li sto elettrizzando, battono le mani. La bionda sembra elettrizata e si agita, che gambe, perdio. Ora, lo so che voi avete avuto il rock'n'roll e i Rolling Stones, ma una roba così non se la ricordava nessuno, una folla di scalmanati, oh, cazzo, c'è anche qualche nero, era ora, il mio sax li manda fuori, ventisei, ventisette ritornelli d'assolo. Basta.

Crollo, vado a sedermi che mi gira tutto attorno e vedo Cat che mi sorride sotto ai baffetti, poi si lecca le labbra e soffia come un pazzo la sua tromba.
Finisce il brano ma il pubblico non torna al suo posto. Il Duca, saggiamente, sa che deve calmarli, in caso di disordini gli organizzatori se la prendono con lui e gli sbirri anche, così chiama avanti Johnny Hodges, detto "Jeep" per la sua velocità negli assoli, mi faceva un culo quadro, quando gareggiavamo. Gli affida "I got it bad" e "Jeep's Blues", scritta con lui. Mi hanno detto, poi, che non si riusciva a calmare il pubblico e che di assoli ne avevo suonati ventisette. Mi hanno detto che Cat non resisteva sulla sedia, mentre suonavo io, Cat. Mi hanno anche detto che la bionda mi ha cercato molto, nel backstage, ma io vomitavo, bevevo e vomitavo. Qualcuno se l'è portata in albergo, sicuro, grande esempio di dialogo interrazziale, no? Che gambe, perdio.
Mi hanno anche detto che alla fine c'è stato un solo di batteria e in coda "Mood Indigo", col pubblico che sfollava e noi e loro sicuri che quella sera lì, in quella stupida stazione balneare si era scritta una pagina della storia del jazz e che, ancora una volta, l'orchestra di Ellington l'aveva scritta lei, quella pagina. E io, naturalmente, portato in trionfo dai giornali, specializzati e non, dalla radio, riconosciuto per strada, io, quello di Capo Verde, col vizio dell'alcool. Per una vita mi avrebbero chiesto di quella serata, di quell'assolo, se fossi o no conscio che io avevo riportato in auge l'orchestra che da lì in poi sarebbe stata richiesta di nuovo, ovunque, in tutto il mondo.... Io facevo spallucce e me ne versavo un altro.
Avevo legato la mia vita a quella del Duca, dopo quella sera lui usava dire che era nato a Washington ed era rinato a Newport, e il merito era stato tutto mio e del mio assolo con ventisette ritornelli. Quel grandissimo egoista poi tanto egoista non era, almeno nei sentimenti, so per certo che voleva molto bene al nanetto, a Carney, a Cat, a Johnny ed a me, a Paul Gonsalves. Ho vissuto ancora diciott'anni, ho bevuto e sono stato male, ho suonato, per lo più con lui, che ha sempre fatto finta di non vedere che entravo al terzo brano. Ho sentito centinaia di sassofonisti, tutti più bravi di me, ma io era a Newport col Duca, negretti con l'ancia in bocca che non siete altro. Come tutti poi sono morto, a Londra, alcool ed eroina avevano svolto egregiamente il loro compito. Sono morto nove giorni prima di lui, non avevano avuto il coraggio di dirglielo, in ospedale, a New York, che era morto Paul, il Duca non avrebbe retto, diceva Mercer, suo figlio, piangendo insieme a mia figlia Colette, non avrebbe retto.

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