La definizione di 'world music' è qualche cosa di assolutamente generico e che per quanto mi riguarda non viene intesa sempre in maniera corretta e frequentemente utilizzata o per definire qualsiasi cosa di diverso da quella che è la musica pop/rock inglese o americana o dalla musica elettronica e sperimentale; in ogni caso qualche cosa che si ritiene sia in qualche modo qualche cosa di 'esotico' perché proveniente da paesi che per lo più non fanno parte di Nord America e Europa o che magari costituiscono realtà provenienti dai paesi dell'est.

In altri casi questa viene intesa anche nel senso di musica 'folkloristica', cioè di quella musica che si ritiene costituisca patrimonio popolare e culturale storico di una determinata nazione e/o etnia. Poiché sono napoletano, ad esempio, potrei riconoscere in questa definizione quello che è il patrimonio storico della cosiddetta 'canzone napoletana' a partire dalle lontane origini nei secoli fino al 1800 e la prima metà del 1900 e fino a quelle che poi sono per lo più considerabili come degenerazioni e nei tempi più recenti. Ma questa è una questione nella quale francamente mi interessa poco entrare nel merito in questo momento, anche se ci tengo comunque a sottolineare come io consideri quella che viene definita come 'classica' parte del mio patrimonio culturale e comunque qualche cosa di valore assoluto sul piano storico e culturale. Lirico e poetico. Oltre che strettamente musicale.

D'altro canto, perché negarlo, se ci si riferisce alla tradizione più popolare, quella della farsa, la frottola, la ballata, la 'villanella' e fino alla tarantella, che sono comunque qualche cosa che molti ascrivono alla definizione di 'world music', non solo non mi ritrovo considerando questa al limite come 'musica popolare' nella accezione più volgare (utilizzando il termine nel suo senso di 'comune' e di 'espressione linguistica in forme e caratteri propri delle classi popolari) e come qualche cosa che secondo me oggi è in qualunque parte del mondo vi troviate, assolutamente autoreferenziale come può essere l'utilizzo forzato di espressioni dialettali oppure usando una qualche metafora, recitare una messa in latino.

Che cos'è quindi la 'world music'? Per quanto mi riguarda questa definizione ha un suo senso proprio solo se intesa a riferirsi a qualche cosa che riguarda non l'espressione di usi e costumi popolari lontani nel tempo, ma quella che è la contaminazione e l'incontro tra diverse culture per creare qualche cosa che può essere completamente inedito e nuovo, quindi in qualche maniera sperimentale, o costituire in ogni caso una vera e propria esperienza culturale di incontro e mescolanza. Qualche cosa di internazionale. La 'futura umanità' de 'L'Internazionale' secondo quella che è la traduzione italiana del testo originale dei francesi Eugène Pottier e Pierre de Geyter.

Per fortuna episodi e produzioni discografiche di questo tipo abbondano e sono in continuo aumento e molte di queste hanno anche una diffusione commerciale o per quello che riguarda il mondo musicale indipendente che non sono qualche cosa di irrilevante e mi piace sottolineare nell'introdurre questo disco, ancora una volta il ruolo centrale anche in questo senso e la qualità assoluta delle produzioni della mia 'etichetta preferita', cioè la Thrill Jockey Records di Chicago e di cui i due autori di questo lavoro, Dustin Wong e Takako Minekawa, si possono considerare come due collaboratori storici.

'Are Euphoria', uscito lo scorso 16 giugno, è il terzo disco che segna la partnership tra i due artisti giapponesi e il seguito di 'Savage/Immagination' (2014). Di base a Tokyo, i due musicisti si possono considerare come due tra i principali 'agitatori' della scena musicale della metropoli giapponesi e per questo terzo episodio hanno coinvolto un numero incredibile di musicisti, tra cui Yasuaki Shimizu, Motohiko Hamase, Mono Fontana, Joe Zawinul, Steve Shehan, considerando in questo senso l'opera proprio come qualche cosa di aperto all'incontro tra diverse esperienze e individualità e la definizione di 'fusion' come qualche cosa che più che riferirsi in senso stretto a una definizione di genere musicale e a dettagli e caratteri tecnici, si riferisse invece proprio alla loro concezione di performance collettiva.

Co-prodotto da Co La aka Matthew Papich, la base di partenza del disco è inevitabilmente la cultura e la musica giapponese tradizionale o anche quella lì più sperimentale, vantando in questo senso il Giappone una discreta tradizione che a parte fenomeni universalmente popolari e riconosciuti come una personalità influente quale quella di Ryuichi Sakamoto, è stata dettagliatamente e in maniera brillante raccontata da Julian Cope nella opera gemella di 'Krautrocksampler', cioè 'Japrocksampler'. Non sottovaluterei inoltre il fatto che una delle figure più rilevanti nel campo della sperimentazione artistica made in USA cioè Jim O'Rourke abbia scelto proprio Tokyo come base per le sue 'operazioni'. Parliamo del resto di quella che si può considerare come una delle capitali del mondo: una metropoli abitata da oltre quindici milioni di abitanti e come tale qualche cosa che nella sua conformazione sfugge completamente a quella che è la nostra idea tipica di grande città intesa secondo i canoni tipicamente europei.

Il disco è costituito da sette composizioni di musica minimale e dove lo sperimentalismo nel campo dell'elettronica incontra la ambient music in un gioco di definizione di spazi cosmici e dedicati alla riflessione con l'ipnotismo e la ripetitività ossessiva nel suono di elementi dub-step e electro-beat oltre che del kraut-rock.

Il risultato finale è un'opera che non definirei affatto monumentale, perché non vuole in nessuna maniera essere sontuosa, quanto più invece la manifestazione di una certa esigenza espressiva che sia frutto di una collettività. L'espressione di un modello culturale, certamente, ma che sia nuovo e attuale.

Il disco si apre con '7.000.000.000 Human Elements', una traccia che evidenzia immediatamente alcuni tra gli elementi tipici del disco: la ripetitività ossessiva delle basi percussive elettroniche e l'utilizzo in maniera reverberata delle voci, l'uso di eco suggestivi e evocativi e allo stesso tempo elementi di sperimentalismo jazz e fusion in un progressivo crescendo di oltre cinque minuti con un moltiplicarsi di sovraincisioni sonore e l'introduzione particolare di un effetto vibrato nel finale.

'Benbelo' rimanda da principio sia a un certo tribalismo nelle percussioni che all'utilizzo di una elettronica pop vintage di marca Yellow Magic Orchestra, sonorità evocative e mescolate all'utilizzo di strumenti a corde tradizionali creano un effetto ambient particolare e quella che appare più che una 'vaporizzazione' del suono, una vera e propria deframmentazione degli spazi che più che minimale definirei infinitesimale e in una pioggia infinita di suoni cristallini e di eco ancora una volta riverberati a sovrapposti in una maniera evidentemente artificiale e alterata.

'Zaaab' si sviluppa su una base musicale beat elettronica minimale, ma si sviluppa dopo una session di impazzimento ambient non lontano da quello delle trame precedenti, in una maniera completamente inaspettata assumendo la conformazione di una specie di episodio di carattere cinematografico, una versione slow-motion del tema di 'Mission' di Ennio Morricone. Fino a una collisione finale in un trionfo di riverberi e impressionismi electro-music decisamente originali.

È un disco che costituisce una continua fuga da schemi di natura convenzionale e da qualsiasi forma predefinita, come se fosse una specie di free-form in formato digitale e elettronico. 'Yaikele Ya Ma' è una session ambient dominata da una base di basso riverberata e sparata in loop con suggestioni musicali elettroniche che rimandano agli Harmonia di Dieter Moebius, Hans-Joachim Roedelius e Michael Rother e in generale al kraut-rock più minimale e da ambientazioni sonore. 'Akubi' quasi riprendendo gli stessi tempi della traccia precedente, cambia allo stesso tempo completamente le atmosfere, e ci cala invece in una dimensione di quiete meditativa e ci invita a immaginare paesaggi lontani dello stesso Giappone e mondi cibernetici oggetto delle riproduzioni una volta immaginifiche e che oggi costituiscono realtà virtuali cui tutti possiamo accedere, tutto alimentato da una certa motorizzazione dubstep e suoni tradizionali che rimandano a una specie di samba dronica suonata al rallentatore.

'Haha Mori' è una successione di fantasmi elettronici che si muovono su di una base strumentale minimale e svolazzano su un tempo scandito dal suono di campane atonali lontane e quelli che appaiono essere remixaggi di sonorità e ballate provenienti dalla tradizione folkloristica del Sol Levante lontanamente riconoscibili più che dalle loro melodie, dalla caratterizzazione dei suoni e dagli 'accenti'.

'Elastic Astral Peel' infine fa sicuramente pensare a alcuni momenti di Sakamoto tratti da 'Neo Geo' oppure 'Beauty', ma il suono si sviluppa crescendo e aumentando di sovraincisioni e di ritmo fino a deflagrare in una confusione noise che immaginiamo possa idealmente raffigurare l'identità sfuggevole e in continua trasformazione di una città tanto affascinante quanto per forza di cose mutevole come la città di Tokyo.

È oggettivamente un disco di una bellezza rara quanto inaspettata. Certo avvicinandovisi le aspettative sono comunque alte, per chi ha già avuto modo di conoscere questi due musicisti, ma è indubbio che nella specie questi si siano superati e abbiano dato vita a una serie di composizioni - e quindi a un disco - perfettamente riuscite e che oltre che essere valide sul piano puramente sperimentale, aiutano a ridefinire in maniera corretta quel principio di 'world music' cui mi appello nella introduzione di questa recensione e che a questo punto non posso che definire anch'esso come mutevole. Così come allo stesso modo è mutevole nel tempo - e nei suoni - la società e il nostro modo di stare al mondo.

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