Ho letto qualche recensione di questo disco e pare che la cosa giusta da fare sarebbe parlarne come opera a sé, slegata dal contesto, e non come il ritorno di Stefano Edda Rampoldi dopo 13 anni di buio totale e non solo sulla sua vita artistica. Beh, immagino sia così, ma io non ci riesco, quindi niente.

Edda cantava nei Ritmo Tribale, che c’erano già quando After e Marlene stavano iniziando e i Verdena ancora poppavano. Io mi ricordo quando è uscito "Psycorsonica" (che già era tardi), si apriva con Oceano e sembravano proprio gli Alice, e in 12 Linee c’era il pattern di batteria di Wooden Jesus dei Temple of the Dog, e io pensavo, ma cazzo allora si può fare anche qui. Non so se lo capivo bene lui, che saltellava di qua e di là con i capelli lunghissimi e la gonna, e aveva questa faccia da tossico (e con un motivo valido), e cantava cose con una vocina stridula e acidella che non aveva niente a che vedere con, per dire, un Vedder. Non che non mi piacesse, ma boh, gli preferivo roba più sofferente (più sofferente? Ah beata gioventù). Però ricordo bene certi suoi versi, a livello del miglior Agnelli, sì sì, e anche, iddio mi perdoni, di certi cantautori italici. E ricordo anche la sensazione di scontro fra lui e il resto della band che traspariva nei solchi del disco, gente alle sue spalle che voleva cantare e non era capace, tipo.

Beh insomma questo tizio a un certo punto è sparito e nessuno ne ha saputo più niente. Il suo gruppo senza di lui non vale una cicca e infatti dura un altro disco (pietose reunion a parte). E lui non si sa dov’è, come quello dei Manic Street Preachers nessuno ne sa niente; chi dice che è in India perchè è are krishna, chi che è morto, e invece lui è a bucarsi a Milano, esplode, reimplode, entra in comunità, e poi esce e fa il muratore, il muratore sul serio. E fra un cantiere e l’altro scrive queste canzoni e adesso, dopo 13 anni, le pubblica.

Io voglio scrivere di questo disco perché secondo me è un disco epocale, nel senso che segna un’epoca. Se non fosse di Edda ma di qualcun altro, non so di un Vasco Brondi per dire (è il paragone più immediato, per via dei suoi scarni, degli arrangiamenti semplici e insieme attenti, per la strumentazione acustica e la voce in primo piano), cosa ne scriverei? Cosa se ne scriverebbe? Probabilmente passerebbe lo stesso per un bel disco, per un ottimo disco. Ma perdio è di Edda e allora è un capolavoro, è più di un disco, è il ritorno di un pezzo della nostra adolescenza che lui lo voglia o no, perché Edda non è più solo suo ma è di noi tutti che c’eravamo e la musica la vivevamo nella pelle.

Anzi, forse prima di tutto “Semper biot” è un disco incredibile dal punto di vista musicale, è una specie di piccolo miracolo. Fate fare a chiunque altro in italia un disco di 12 canzoni con: una chitarra acustica suonata poco e maluccio, qualche intervento molto misurato&azzeccato di violino-piano-synth-timpano-e-poco-altro, e la voce in faccia, in mezzo alle orecchie, senza un effetto mai, senza manco il riverbero (ma sì, ci sarà lì di dietro, c’è sempre, ma insomma non si sente proprio). Eh, forse qualcun altro l’ha anche fatto, e peggio per lui perché ora il paragone è impietoso. La voce soprattutto, questa voce, che il rock pestone dei Tribale non riusciva a valorizzare del tutto e ora si impone come una delle voci più originali, potenti, sorprendenti e tecnicamente perfette della musica italiana e non solo.

Ma poi è un disco meraviglioso per il modo in cui Edda si mette a nudo, “semper biot” appunto. Ogni canzone una ferita auto inferta, qualche caduta di stile (poche) in mezzo a vette spettacolari come “Essere dio è una cosa facile, provaci tu a fare il mio di mestiere” oppure “Ma a volte vorrei - si può sempre stare peggio nella vita, ma a volte vorrei di più, di più delle promesse di più dei buoni acquisto di più delle vacanze di più” passando per assurdità come “Sapessi com’è strano essere tossicodipendente a Milano” o "Forse me lo meritavo di avere un karma così di merda" o “Veramente io volevo solo fare l’amore, daghe dénter un cicinìn e facciamo ancora festa all’amore, dottò” che lasciano a bocca aperta per quanto sono sincere e violente e dolenti, che non le senti mai cose così cazzo. Edda che storpia le parole, che canta di sè al femminile, "sono nata in un brefiotrofio, sono nata perchè ero di troppo".

Questo disco imparatevelo a memoria, voi che salite sul palco con la cravattina sottile e le converse d’ordinanza e la vocina piano piano e fate gli alternativi; che siete solo dei pulcini, l’alternativo è il tuo papà, coglione, e papà Edda è qui a fare ponteggi e a massacrarci l’anima perché è così che si fa il rock, anche con una chitarrina con tre corde, purchè ci sia tanto fiato in gola, ma anche tante cose da dire, che escono un po' incasinate ma la tua voce le mette in riga e fa suonare anche una filastrocca come un concerto grosso, figuriamoci cosa fa con delle parole che pesano come macigni.

Magari domani o fra un mese non lo sentirò più questo disco, così scarno, a volte ripetitivo, spesso incoerente e difficile. Ma stasera siamo ancora giovani io e te Edda, e ci facciamo una bevuta, e cantiamo forte.
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