Edward Raymond Cochran... 3 ottobre 1938 Albert Lea (Minnesota - USA) - 17 aprile 1960 Chippenham (Wiltshire - UK)
Sono passati moltissimi anni, da quando bambino andavo a nascondermi in salotto, accendevo con estrema circospezione lo stereo, controllando che nessuno potesse scoprirmi, chiudevo la porta e magicamente mi ritrovavo in un mondo che sembrava essere mio... esclusivamente mio.
Le casse iniziavano a trasmettere quello splendido (ascoltato con gli occhi di oggi) fruscio, provocandomi un'inquieta frenesia, sotto pelle, preludio a quella scarica di pura adrenalina che stava per arrivare, ogni volta magicamente con rinvigorita energia. Non lo dimenticherò mai il turbine di emozioni che mi assaliva quando il pulsare del basso attaccava "C'mon Everybody". Venivo rapito dalle convulsioni dei miei muscoli impazziti e mi abbandonavo totalmente a quel vortice pagano, sentendomi quasi dentro una lavatrice in centrifuga. Altre volte sprofondavo nel morbido abbraccio dei cuscini del divano e con in mano la copertina cercavo di immaginarmi le espressioni di Eddie mentre cantava "Summertime Blues" o "Somethin' Else", immaginare le sue "mosse", i suoi movimenti... rapito da quella sua voce un po' guascona.
Eddie Cochran è stato uno dei più grandi interpreti rock ‘n' roll (oltre che uno dei miei eroi d'infanzia)... in poco meno di un lustro come autore, pratica non ancora molto in voga fra le stelle del periodo, ed esecutore ha codificato il sottogenere rockabilly che nel volgere di un paio di decenni ha contribuito ha dar vita al garage prima ed al punk poi... omaggiato nel mezzo da band seminali hard come i Blue Cheer, mostri sacri come The Who (vedere e sentire per credere) o icone pop come Olivia Newton John. Forse non aveva l'appeal di Elvis, il fuoco di Jerry Lee Lewis, la schizofrenia di Little Richard o la poetica del suo migliore amico Buddy Holly; o semplicemente non gli servivano, lui giocava in un campo tutto suo, si era fatto le ossa suonando country con il cugino Hank (a nome Cochran Brothers) e l'incontro con il produttore Jerry Capehart spalanca ad Eddie le porte della notorietà, prima cinematografica e poi discografica, con un contratto per la Liberty Records.
Nel 1957 partecipa al primo tour mondiale di uno spettacolo di rock ‘n' roll, ricordato soprattutto per l'abbandono delle scene da parte di Little Richards in Australia, per abbracciare la fede e la religione. Il 3 febbraio 1959 un incidente aereo strappa dal mondo Buddy Holly, Ritchie Valens e Big Bopper, gettando Eddie nello sconforto che lo porta in sala di registrazione per lo straziante omaggio che è "Three Stars", pezzo scritto dal dj Tommy Dee... dove si può sentire più volte la sua voce profonda rotta dall'emozione e dalle lacrime. La Liberty non ritiene di pubblicarla, giudicando il master di insufficiente qualità (altro esempio di "ignoranza aziendale"). Ma ad inizio 1960 raduna intorno a se i superstiti Crickets di Buddy Holly e registra la splendida "Three Step To Heaven" un omaggio all'arte dell'amico scomparso con un'interpretazione che sembra uno schiaffo al miglior Elvis. Ma il destino (tristemente) profetico, depositato fra le righe del titolo, è in agguato. Eddie, finite le sessioni di registrazione, parte per il Regno Unito (dove è un'autentica superstar) per raggiungere in tour l'altro suo grande amico Gene Vincent. La sera del 3 febbraio 1960 l'autista del taxi che li sta portando all'aeroporto di Londra perde il controllo e va schiantarsi contro un lampione a bordo strada. L'autista, Vincent e Sharon Sheeley, la ragazza di Eddie (oltre che co-autrice di molti suoi brani) ne escono illesi, mentre lui gravemente ferito alla testa troverà la morte poche ore dopo all'ospedale St. Martin di Bath.
Nel 1987 viene introdotto nella Rock ‘n' Roll Hall Of Fame, in ritardo di qualche anno su quella che io gli riservai tra le mie emozioni più profonde... non smettendo mai di ringraziare mio padre per avermi trasmesso il suo amore per Elvis Presley, Jerry Lee Lewis, Little Richard, Chuck Berry, Bill Haley e soprattutto Edward Raymond Cochran; facendo sempre finta di non accorgersi che avevo messo le mie maldestre mani nei suoi preziosi e magici dischi volanti di plastica neri.
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