L'underground metallico italiano ha raggiunto negli ultimi anni una compattezza qualitativa esuberante, presentando al pubblico più di una valida band per qualsiasi genere esistente. Se il gothic metal ha trovato ottimi portavoce nei Domina Noctis, negli Hortus Animae e nei Mandragora Scream, tra gli alfieri del death metal più progressivo, modernista ed innovativo scopriamo gli Edenshade, band marchigiana già all'attivo da qualche anno e con alle spalle un solo lavoro in studio dall'enigmatico titolo "Ceramic placebo for a feint heart". Debuttante nell'estate 2006 per la validissima My Kingdom Music, il cui marchio rappresenta sempre una garanzia di qualità assoluta per ogni disco che sotto la sua ala protettiva viene rilasciato, la band è riuscita con le dieci canzoni di "The lesson betrayed" a far confluire nel proprio sound i buoni compromessi tra melodia e pesantezza che hanno reso famosi i Dark Tranquillity, cambi di tempo ed eleganza tastieristica di scuola progressive (con un certo retrogusto disincantato e saturnino) e un gusto per le melodie riconducibile all'electro-rock dei Subsonica, suggellando il tutto in arrangiamenti più che accattivanti, coadiuvati da una produzione eccelsa (ad opera di Massimiliano Pagliuso e Giuseppe Orlando dei Novembre) e da un artwork digitale curato e intrigante. Impossibile non gridare al miracolo di fronte all'imprevedibilità che anima ogni singolo brano della scaletta; anche un non-appassionato del genere (come il sottoscritto) non può certo rimanere impassibile di fronte a brani schizofrenici ed attraenti allo stesso tempo come quelli contenuti in questi dirompenti quarantadue minuti di musica.

Il mio primo contatto con la musica della band è avvenuto con l'ascolto dell'opener "Tmèsis", dalla quale rimasi folgorato. Dei secchi riff di chitarra interrotti repentinamente da una voce sussurrata vanno a sposarsi con sottofondi di tastiera e lasciano spazio alla voce, versatile come mai nel passare da tonalità melodiche ad un growl cavernoso e sofferente per poi sfociare in un ritornello anthemico e ricco di pathos. Un assolo di chiara ispirazione progressive irrompe a metà la traccia, liberando la tensione accumulata che viene raccolta direttamente dalla voce ferita che recita un verso in italiano, per poi lasciare nuovamente il muro sonoro delle chitarre ad assalire l'ascoltatore, senza pietà, prima che il ritornello torni ad avvolgerne le membra sfumando nel riverbero atmosferico della tastiera. La successiva "That blind", con la sua carica schizofrenica, è inarrestabile; il ritmo è martellante, trascinante e le poche concessioni melodiche sono il connubio perfetto tra tecnica e passionalità, qualità forse un po' estranea a certe band dedite alla materia progressiva. Le delicate note di tastiera in "They" sciolgono il cuore nei loro afflati malinconici, mentre gli assalti frontali delle parti più violente rapiscono l'ascoltatore per portarlo in un vortice inarrestabile fatto di rabbia e lucida follia; nel finale le due componenti si intrecciano in un agrodolce ed appassionante contrasto. "The drop" è l'ennesima prova della superba versatilità vocale del singer, in grado di passare con facilità da un growl cavernoso ed aspro a malati sussurri ed urla angoscianti fino al disilluso canto melodico caratteristico dei Subsonica, che in questo caso è predominante nella resa del brano, uno tra i più anthemici del lotto. Anche la titletrack è l'ennesimo compromesso tra melodia (con un romantico solo pianistico a chiudere in bellezza) e potenza. Ogni tanto sembra perfino d'udire un violino in sottofondo. Passando per il mix di tristezza autunnale e cieca rabbia di "Contemplate", gli Edenshade cedono il passo a "Trust in me", breve intermezzo elettronico prima che la violenza torni a dominare in "As water", dove lo stile dei Subsonica viene nuovamente plasmato in un rimbombante ed irregolare tripudio metallico, apparentemente distante dalla base rock della band di Torino (ma mai come in questo caso vicinissimo). Impressionante come sempre il pianoforte, che ammanta di rassegnazione i passaggi più melodici della canzone, spaventoso il growl nel ripetere ossessivamente il titolo del brano, immortali le chitarre. Per "Insect" vale lo stesso discorso della traccia precedente; vorrei però far notare come il ritornello in questo caso risulti quasi armonioso e come la lingua italiana si adatti splendidamente alla musica degli Edenshade. A chiudere in bellezza ci pensa un commovente episodio pianistico-sinfonico (sporcato soltanto da claustrofobiche percussioni elettroniche) pieno di sofferenza e desolazione, dove echeggiano languori dark.

Ogni tanto dimentichiamoci dei Dark Tranquillity; gli Edenshade sono la nuova gloria del death metal melodico tricolore, una folgorante rivelazione pronta per essere riconosciuta a livelli internazionali e meritevole di essere apprezzata non soltanto dagli abituali fruitori di questo tipo di musica.

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