Introdotto da quella che forse è la migliore copertina di un album death metal mai realizzata, ad opera del maestro Dan Seagrave, “The Spectral Sorrows” è l’album della svolta per gli Edge of Sanity. Proprio come rappresentato nel dipinto il gruppo è divenuto un’entità mutevole, dalla natura non ben chiara, che cerca di aggrapparsi qua e là con propaggini e tentacoli l’uno diverso dall’altro, in cerca di una nuova forma e una nuova dimensione.

Infatti le due anime del gruppo, quella del più progressista Dan Swanö e quella del più tradizionalista Andreas Axelsson, hanno cominciato a divergere tra loro e lo stile del gruppo risulta mutato in maniera irreversibile. Già ascoltando la traccia che porta lo stesso nome dell’album e che funge da introduzione si percepisce che questo disco non sarà di certo un “Unorthodox Vol. 2”, e la conferma avviene quando inizia “Darkday”, che riprende la melodia principale della canzone precedente per sferrare la prima mazzata sul collo dell’ascoltatore avido di marciume in salsa svedese. Eppure nonostante la distorsione delle chitarre sia più esplicita di un passaporto riguardo al paese di provenienza dei quattro musicisti e il vocione di Swanö resti sempre quello di un grizzly pronto a sventrare un orso rivale per potersi accoppiare con la femmina che desidera, si percepisce che c’è qualcosa di diverso. Le composizioni infatti vengono contaminate da un approccio molto rock, ad esempio il batterista non utilizza mai la doppia cassa, e alcune canzoni, su tutte “Lost”, non fosse per la distorsione ed il growl potrebbero essere canzoni adatte ad un pubblico generalista che non apprezza di certo l’estremismo musicale. La voglia di cambiamento è percepita lungo tutta la durata del lavoro, d’altronde siamo nel 1993 e il death metal era in cerca di una fisiologica evoluzione, nel quale trovano spazio anche contaminazioni hardcore (“Feedin’ the Charlatan”) e doom (“Across the Fields of Forever” dalle splendide e oscure atmosfere spiccatamente old school). La scelta che rende ancor più interessante l’opera è a mio parere, non allineato con quello che si legge invece in altre recensioni, quella di spezzare due volte l’omogeneità della scaletta aumentando ancor di più il fattore varietà. La prima volta ci si trova di colpo ad ascoltare la voce pulita di Swanö che si cimenta in una cover (“Blood of My Enemies”) dei paladini del vero metallo epico ed intransigente, gli amati/odiati ed in ogni caso discussi Manowar, con risultato decisamente notevole; la seconda è invece la ancor più spiazzante “Sacrificed”, vero tributo al movimento dark wave.

Forse i puristi storceranno il naso di fronte a certe soluzioni, però gli Edge of Sanity ci avevano visto giusto e i successivi album “Purgatory Afterglow” e soprattutto “Crimson” daranno loro ragione, così come il successo ottenuto da gruppi che si muoveranno con la stessa apertura mentale (leggasi Opeth).

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