Sammet è un genio.

Probabilmente dopo il magnifico "The Scarecrow" per il progetto Avantasia nessuno si aspettava di trovarsi davanti un altro capolavoro a distanza di pochi mesi, eppure ascoltando "Tinnitus Sanctus" non si può non rimanere affascinati. Lasciati gli sperimentalismi folli (seppure ben riusciti) di "Rocket Ride", gli Edguy decidono di riproporre un sound tendente all'Hard Rock e all’Heavy Metal, senza lasciarsi totalmente alle spalle la loro fama di Poweroni accaniti.

Il disco parte davvero bene con il singolo “The Ministry of Saints", già pregustato dal pubblico sul MySpace della band. Niente da dire, un brano grintoso e coinvolgente, con un ritornello forse non originalissimo ma ugualmente apprezzabile. Troviamo poi la nota dolente dell’intero album (ovviamente è un mio modesto parere). Si tratta di "Sex Fire Religion", che parte con delle buone premesse ma sembra non prendere mai quota e al momento decisivo scade in un chorus davvero insipido.

Si passa quindi al power più genuino con "The Pride of Creation", una traccia entusiasmante dal testo davvero particolare. Indubbiamente uno dei brani meglio riusciti, merita di essere ascoltata veramente da chiunque. Qualche traccia dopo troviamo "Dragonfly", ovvero quella che reputo la migliore canzone dell’album, stracarica di pathos e di epicità. Forse c’è bisogno di più di un ascolto per apprezzarla davvero, ma vi ritroverete presto a passeggiare per le strade canticchiando il ritornello.

Degne di nota sono poi "Thorn without a rose", la classica ballad melodica dell’album (che per fortuna si salva dalla banalità assoluta che sembra contagiare molte canzoni di questo tipo) e la speed track "Speedhoven", aggressiva e emozionante allo stesso tempo. Quest’ultima si merita il secondo posto alla pari con "The Pride of Creation".

E dopo "Dead or Rock", una canzone tutto sommato non malvagia e che si colloca nella media, troviamo il solito scherzo degli Edguy, che in questo album prende il nome di "Aren’t you a little pervert too"?!. Il fattore sorpresa è dato da un semplice fatto: nessuno si immaginerebbe alla fine di un album del genere di trovare una canzone country. Pur trattandosi di una buffonata (non credo la ascolterete più di una volta…) è comunque divertente assistere alla sfacciataggine di un gruppo del genere.

Insomma, a parte qualche nota dolente come la già citata track 2 e altre canzoni prive di particolare spessore che ho evitato di citare, ci troviamo davanti un bellissimo album, che di sicuro sarà apprezzato dai fan di vecchia data del gruppo, e probabilmente riuscirà a conquistarsi qualche nuovo sostenitore.

Da avere.

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