Partendo dal sublime adattamento cinematografico di Passaggio in India firmato David Lean (1984), nel giro di poco più di un lustro cinque dei sei romanzi di Edward Morgan Forster raggiunsero il grande schermo e, grazie ad esso, una rinnovata popolarità. Cinque su sei. Se la matematica non inganna, qundi, ne rimane fuori uno. E quest'uno è senza dubbio un "luogo" dove solo gli angeli osano avventurarsi, parafrasando liberamente un modo di dire britannico nonchè lo stesso Forster. Gli angeli e anche chi ama a fondo questo autore; per questi "eletti", il viaggio più lungo è un pellegrinaggio "di precetto". Qui E.M. si è raccontato riducendo al minimo indispensabile i filtri letterari, incorporando nel romanzo il suo vissuto, i suoi tormenti interiori e i suoi ideali; tanto per rendere l'idea di cosa questo libro significasse per il suo autore, basti pensare che perfino in "Una vista senza camera", una breve appendice ed epilogo del romanzo che lo consacrò al successo (scritta nel 1958), Forster ci tiene comunque a ribadire che la sua novella preferita non è "Camera con vista" bensì, per l'appunto, "Il viaggio più lungo", la sua creazione più commercialmente sfortunata.
Da qui nasceranno sia "Casa Howard" che "Maurice", in cui un E.M. più maturo svilupperà ulteriormente tematiche già ampiamente presenti ne "Il viaggio più lungo" che, però, sarebbe ingiusto e sbagliato derubricare al semplice ruolo di "embrione". IVPL è un romanzo dotato di un'identità personale molto precisa, non così pesantemente definita da allegorie sociopolitiche come "Casa Howard", meno emotivamente tesa, a tinte sicuramente più allusive e sfumate rispetto a "Maurice"; la lettura trasmette una generale sensazione di pacata, malinconica dolcezza, di un'intimità inquieta e introversa, e questo rispecchia perfettamente la personalità di Rickie Elliot, il protagonista. Aspirante scrittore, fantasioso, sensibile, di natura gentile e idee moderate, nè forte nè attraente, Rickie è a tutti gli effetti un alter ego dello stesso Edward Morgan Forster, e, come lo stesso Forster, non appena uscito dal "paradiso" di Cambridge, luogo di libertà intellettuale, si ritrova soverchiato dalle convenzioni sociali e dal conformismo imperante della società inglese del primo '900. C'è in particolare un episodio che riassume perfettamente tutto il sottile malessere del protagonista e le preoccupazioni dell'autore: un rinomato editore rifiuta a Rickie la pubblicazione del suo libro in quanto "ibrido", senza una fascia di mercato di riferimento. "Scrivi una bella storia di fantasmi, oppure qualcosa di assolutamente realistico, e saremo felici di pubblicarti", viene consigliato a Rickie, che vede così negato il proprio diritto all'individualità.
Il sogno artistico è destinato a spegnersi tristemente, a favore di una più prosaica occupazione come insegnante in un college, uno di quei college di cui lo stesso E.M. ebbe a dire che formavano ragazzi con il corpo ben sviluppato, la mente discretamente sviluppata e il cuore completamente atrofizzato; qui subisce la nefasta influenza del cognato Herbert Pembroke e della moglie Agnes, la presunta "eroina" del romanzo, la cui natura venale e dispotica viene rivelata al lettore (e all'ingenuo Rickie) gradualmente, attraverso un character arc perfettamente costruito. Come in tutti i romanzi di Forster, anche qui arriva quel momento "magico" e sospirato in cui si sgretolano convenzioni e falsità, e a risvegliare la coscienza del deluso e anestetizzato Rickie sarà una fortuita convergenza tra due personaggi apparentemente agli estremi opposti, entrambi forti e fedeli a sè stessi: da una parte Stewart Ansell, intellettuale intransigente, dall'altra Stephen Wonham, fratello illegittimo di Rickie e, in quanto tale, a prescindere riprovevole, motivo di scandalo e di vergogna; la scena che ne risulta ha tutto il travolgente lirismo emotivo di momenti iconici del repertorio forsteriano come la scena del processo in "Passaggio in India" o il dialogo tra Lucy e il signor Emerson in "Camera con vista".
Stephen in particolare è uno dei personaggi più complessi e affascinanti di tutto l'universo forsteriano, un beone dal pessimo carattere eppure dotato di un'acuta intelligenza, generosità e senso di giustizia, pur mancando evidentemente di costanza e affidabilità. Un insieme di caratteristiche solo apparentemente contraddittorio ma del tutto realistico per quanto estremamente raro, e questo lo dico per esperienza personale. Sarà proprio la natura impefetta di questo improbabile "redentore" a condurre alla tragica, improvvisa conclusione del penultimo capitolo, che pone al lettore una mesta domanda: ne sarà veramente valsa la pena? La risposta ce la fornisce il capitolo conclusivo, che incanta ancora una volta per la bellezza della scrittura e la sincera, appassionata partecipazione emotiva trasmessa. Una delle caratteristiche che rendono unico "Il viaggio più lungo" all'interno della produzione romanzistica di E.M. Forster è il particolare fascino dei capitoli ambientati nel Wiltshire, contea semi-rurale nel sud dell'Inghiterra: parliamo di un paesaggio campagnolo/boscoso di per sè ordinario, non le selvagge brughiere di brontiana memoria o, rimanendo a Forster, gli esotici e desolati monti Marabar, eppure E.M. lo rende, con assoluta credibilità e fascino ipnotico, il dominio di Erda, un luogo mistico in cui il protagonista si ritrova a confrontarsi con sè stesso, senza filtri, e in cui le convenzioni borghesi perdono potere. Ed è proprio questo scenario (come poi sarà anche in Casa Howard) che l'autore usa per esprimere la propria speranza in una società più umana, in un mondo migliore.
In questo suo secondo, struggente, bellissimo romanzo, non particolarmente amato dai critici, più di ogni altro a lui caro, Edward Morgan Forster si è raccontato in forma semi autobiografica, e al tempo stesso ho affrontato l'eventualità, non ancora scongiurata per uno scrittore emergente ma non ancora pienamente affermato, di un possibile fallimento artistico e umano, di una resa nella lotta impari con la propria società e le sue chiusure. Per E.M. "Il viaggio più lungo" è stata un'opera fortemente "terapeutica", e questo la rende ancora più vibrante, grazie a questo riesce a comunicare a livelli ancora più profondi. Per quanto mi riguarda, nella mia personale graduatoria forsteriana stà dietro solo a "Passaggio in India" e "Maurice", quel che è certo è che non si può dir di conoscere veramente Edward Morgan Forster senza essere passati di qui.
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