Chi non ama la "lentezza", chi vuole libri in cui ad ogni riga succede qualcosa, probabilmente farebbe meglio ad evitare Edward Morgan Forster. Che, tra parentesi, è attualmente il mio scrittore preferito. E.M. Forster, al di fuori della sua breve e straordinaria carriera di romanziere, tra le altre cose, ha scritto (in collaborazione con Eric Crozier) il libretto di Billy Budd, uno dei massimi capolavori operatici di Benjamin Britten. Entrambi gli artisti, nei rispettivi campi, si collocano in una dimensione "limbica": non erano nè del tutto romantici nè del tutto modernisti, in qualche modo riescono a prendere il meglio da entrambe le sfere; tanto nei romanzi di Forster quanto nelle opere di Britten si rilevano leitmotiv tematici che riaffiorano in continuazione, affrontati di volta in volta attraverso prospettive e situazioni diverse. Entrambi finissimi intellettuali, tessitori di trame dilatate, in cui il contesto è tanto protagonista quanto i personaggi stessi, entrambi capaci di trasmettere genuina, autentica, fortissima empatia e partecipazione emotiva in apici emotivi inseriti nei punti giusti, con assoluta maestria e senso dell'equilibrio. Imbattermi in Britten e in Forster è stata una delle cosa migliori che mi siano capitate nell'ultimo periodo della mia vita.
E adesso entriamo nel merito della questione, ovvero Passaggio in India, il suo ultimo romanzo, pubblicato nel 1924. EM Forster morirà quasi cinquant'anni più tardi, ma su questo ritorneremo in seguito. Ai quattro "assi" di Forster risulta assai facile abbinare il rispettivo seme: Camera con vista-fiori, Casa Howard-quadri, Maurice-cuori e, ovviamente, Passaggio in India-picche. Picche perchè la dinamica del romanzo ruota essenzialmente intorno a un conflitto: l'Impero Britannico dominatore contro l'India dominata, a sua volta frammentaria e divisa (su questo, Forster pone l'accento soprattutto sull'aspetto religioso). Inseriti in un contesto simile, i tipici conflitti forsteriani (convenzione e morale comune vs istinto ed emozione, rapporti e non-rapporti tra le classi sociali) acquisiscono ulteriore complessità, ma forse anche più risalto ed immediatezza.
Prosa elegantissima, capace di rendere in qualche modo visionarie e simboliche anche le scene più "banali", impreziosita da una vena d'ironia che affiora spesso e volentieri, Passaggio in India offre anche squarci poetici di notevole lirismo, specialmente nelle descrizioni dei paesaggi, che interagiscono inevitabilmente con lo stato d'animo dei personaggi: ad esempio, ammirati da lontano, i fatali monti Marabar sembrano a Cyril Fielding vette di bellezza ultraterrena, paragonate al Valhalla e al Montsalvat (squisite citazioni wagneriane), quando già sa che non sono altro che una "trappola", un'illusione che ha già alterato completamente la dinamica della storia. Il susseguirsi delle stagioni (stagione fresca, stagiona calda, stagione delle piogge) costituisce un altro importantissimo elemento strutturale, che detta i tempi della storia e influisce fortemente sulle azioni e i pensieri dei protagonisti.
Aziz, il principale tra i personaggi indiani, spicca particolarmente per complessità e veridicità: è un uomo tratteggiato con estrema completezza, con il suo dinamismo, il suo fascino, la sua generosità e il suo entusiasmo a volte un po' maldestro, ma anche i suoi radicati pregiudizi e un'eccessiva ostinazione. E dopotutto, non ci sono "eroi" in nessun romanzo di Forster, solo individui che, con i propri limiti, riescono ad elevarsi dalla mediocrità e dalle convenzioni sociali. E tutto ciò che vi è di più "bello", di più puro e spontaneo in Passaggio in India nasce dalle dinamiche tra singoli individui: comunioni d'anime come l'incontro notturno nella moschea tra Aziz e la signora Moore (figura di donna anziana che, come la signora Wilcox di Casa Howard, assumerà una dimensione stranamente simbolica e "mistica" nell'evolversi della storia) e l'amicizia tra lo stesso Aziz e il professor Fielding, che non finisce del tutto nemmeno con l'amara ma sincera "chiusura" nell'ultima pagina. Un altro esempio è la formazione di Adela, da ragazza ingenua a donna capace di introspezione, pensiero indipendente, e di prendere da sè le proprie decisioni, anche a costo di inimicarsi la sua "casta". Le dinamiche di gruppo sono invece, inevitabilmente, dinamiche di branco, anche se non in un'accezione universalmente negativa; è l'ingiusto processo ad Aziz, dopotutto, ad unire gli indiani in una causa comune, ma il più delle volte ne risultano pregiudizi, razzismo, ipocrisie, meschinità da ambo le parti.
Tra i massimi vertici emozionali del repertorio forsteriano, vengono in mente gli ultimi, trionfali capitoli di Maurice e il dolcissimo ricongiungimento tra Helen e Margaret al termine di Casa Howard; qui non c'è un vero e proprio corrispettivo, Passaggio in India è strutturato in maniera più fluida, in un complesso gioco di chiaroscuri tra illusione e realtà, splendore e squallore ma, seppur caratterizzata da un forte significato simbolico, rimane una vicenda del tutto verosimile, e "incarnata" magistralmente. "Ritirarsi" dopo questo capolavoro è stata senza dubbio una decisione sensata da parte di E.M. Forster, anche se indubbiamente frustrante dal punto di vista di un suo lettore e cultore, ma stupisce particolarmente la motivazione dichiarata dallo stesso scrittore; molti anni dopo: Forster afferma infatti che il "mondo" in cui aveva ambientato le sue storie stava inesorabilmente scomparendo, e di non riuscire a tenere il passo con i sempre più repentini cambiamenti sociali. Data la modernità di fondo dei suoi romanzi, soprattutto Maurice e Passaggio in India, lo trovo quasi buffo.
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