Ebbene sì, Brian forse c'è riuscito a non farsi impallinare da uno sbirro; e, comunque, anche se lo hanno fatto fuori, è probabile che sia stato lui per primo a ficcare un proiettile nella zucca di un piedipiatti, poi cedendo ad un'irrefrenabile riso. Potrebbe essere andata proprio così, la storia, volendo dare un senso autobiografico a «Came Into Town».

Benvenuti, allora, negli incubi della zanzara medievale, parto della mente deviata di Brian Kild, che ci scruta da vicino, inquietante al pari di un qualunque freak che popola i dipinti di Hieronymous Bosch o la pellicola di Tod Browning.

Dieci piccoli incubi ad occhi aperti che solo casualmente trovano forma in musica; quando, con identica efficacia, avrebbero potuto essere quadri ispirati da uno spinto realismo visionario; oppure, nitide istantanee di alienazione e violenza in una qualsivoglia megalopoli, e fino alla periferia della desolazione.

Nel caso, la storia prende piede a Los Angeles ed ha per protagonisti figuri giunti da chissà dove, a declamare che i fiori sono nella pattumiera e non è più tempo di pace né di amore. O forse sì, la pace può ancora avere un senso, purché sia attraversata da una carica elettrica ad altissima tensione.

Questo è "Medieval Mosquito", questi sono gli Electric Peace.

Come per tutti i gruppi grandi ed innovativi, quelli grandi ed innovativi per davvero, in pochi li hanno conosciuti ma quei pochi, a distanza di 25 anni, non li hanno scordati e nelle loro orecchie risuona ancora lo scacciapensieri che marchia «Came Into Town».

Che capolavoro che è, «Came Into Town».

Canzone che, in neanche cinque minuti, ti narra di una vita intera consumata oltre i margini della follia e di altre vite inconsapevoli che ad essa fanno da contorno e di quella follia sono, al contempo, giustiziate e giustiziere. Impossibile raccontare «Came Into Town» e, per quanto assurdo, posso solo suggerire il paragone con «Nebraska»: se  quella si apre con il verso «Me and her went for a ride, sir, and ten innocent people die» e si chiude con il desolato «Well, sir, I guess there's just a meanness in this world», l'assassino seriale di cui narra «Came Into Town» irrompe sulla scena e «Shot a cop through the head and started to laugh» per poi uscirne «Got shot through the head, and the cops all started to laugh».

Se in "Nebraska" (l'album) prevale il sentimento della pietas per i naufraghi del sogno americano incapaci di raggiungere la terra promessa, allora "Medieval Mosquito" è la negazione assoluta di "Nebraska": soccombi, povero idiota, preferibilmente sotto lo sguardo strafottente di chi ti ha inferto il colpo di grazia, proprio perché il sogno non è mai esistito e la terra promessa è solo un deserto popolato di cadaveri finiti dritti all'inferno.

Impossibile, per davvero, raccontare «Came Into Town».

Altrettanto arduo raccontare gli Electric Peace, per cui mi limito a indicarvi i territori battuti, quelli di un hard rock commisto ad un blues psicotico che ha i suoi confini tra i Deep Purple di "Made In Japan", un attimo prima che il rock duro degeneri in pesante manierismo metallico, perché gli Electric Peace sono pesantemente metallici, sì, ma al modo della straordinaria «Cranking Into Oblivion»; i Doors di "Roadhouse Blues" resuscitati in "Hate Is Special Feeling"; ed i Soundgarden ai tempi di "Louder Than Love" e dintorni, che istigano il pogo sfrenato al ritmo di «Roadrunner».

Solo che i Soundgarden vengono dopo e sono una copia sbiadita dei migliori Electric Peace.

Sono stati un gruppo epocale, gli Electric Peace, ed epocale è "Medieval Mosquito", anche se poi né gli uni né l'altro li troverete mai citati in una qualsiasi antologia musicale.

Ma, questa volta, fidatevi di una testa di rapa.

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