Cult heroes!!! Ecco, credo proprio che questa definizione sia la più appriopriata per descrivere quello che sono stati, e che forse sono ancora, i torinesi Elektradrive nella memoria di tutti noi, cinque rockers di classe accomunati dall'insana passione per la musica comunemente denominata "adulta", passione che li spinse in più riprese, ad imbarcarsi in attraversate oceaniche che, come la storia ci insegna, si risolsero in un nulla di fatto, ma che portarono comunque alla realizzazione di tre splendide uscite discografiche che, in entrambi i casi, hanno contribuito ad innalzare il valore artistico e qualitativo della band nostrana che, grazie anche all'appoggio della nipponica Alfa Brunette, è riuscita comunque a raggiungere i cuori e ad accapparrarsi le stime di tutti quelli che vivono la musica in maniera viscerale, ma tant'è...
Unici alfieri sul suolo italiano, se si escludono gli altrettanto validi e misconosciuti Drama del guitar player Luca Trabanelli, di un sound sorretto da suadenti iniezioni pompose, guitar lick avvincenti ed una voce soave e quasi mistica come quella del maestro Elio Maugeri, gli Elektradrive hanno pagato il solo scotto di pubblicare i loro unici lavori da studio, per delle case discografiche che, a ben vedere, non hanno minimamente appoggiato le propensioni artistiche dei nostri, lasciandoli in balia del proprio destino che, sempre e comunque, gli si è ritorto contro.
Eppure come appena accennato, le potenzialità così come la peculiarità artistica, sono sempre stati degli elementi fondamentali in seno alla band nostrana che, in un crescendo qualitativo, ha dato vita ad un trittico di platter che, se presi in esame in relazione alla data di pubblicazione, ci presentano una band sempre e comunque al di sopra delle parti, proiettata più che altro nella ricerca quasi spasmodica di ambientazioni ed arrangiamenti sempre più sofisticati, e soluzioni artistiche nettamente in anticipo rispetto ai tempi.
Il disco della definitiva consacrzione, ecco cosa doveva e poteva rappresentare questo "Big City", terzo platter per gli Elektradrive, un album che, giunto a qualche anno di distanza dal pluricelebrato "Due", album che aveva completamente fatto incetta di ottimi responsi di pubblico, ma soprattutto di critica, sanciva ancora una volta che, la classe e la sensibilità melodica a cui il combo piemontese ci aveva abituati oramai da qualche anno, non si erano per niente affievolite, anzi, grazie soprattutto a quella voglia di progredire che da sempre ha contraddistinto la band del mastermind Simone Falovo, ci regala dei momenti entusiasmanti che riescono ad amalgamare con una certa dose di perizia strumentale, le atmosfere melodiche e prettamente AOR degli esordi, con una sana ventata di funky rock non tanto distante da quanto proposto dai meravigliosi Dan Reed Network nell'omonimo album d'esordio e nel pluricelebrato "Slam" di qualche anno più tardi.
Registrato presso i prestigiosi, almeno allora, Dracma studios di proprietà dell'omonima casa discografica torinese, "Big City" si permea di un sound elegante e altamente professionale, anche per i tempi che corrono, e grazie ad una produzione cristallina e potente, che riesce nel non facile compito di far risaltare allo stesso modo ogni strumento, conferendo alle undici track ivi presenti, ben tredici per questa copia giapponese oggetto della nostra recensione, quello spessore artistico e quella rafinatezza che solo le big band d'oltreoceano erano riuscite a fornire fino a quel momento.
Un disco questo che, nell'insieme, riesce a mettere in luce la classe ed il gusto compositivo in possesso da questo combo di cinque elementi che si districano con disinvolute fra le trame melodiche di song della levatura di "Big city" o di "Fast as an arrow" entrambe dotate di un humus melodico e di refrain davvero irresistibili, volutamente devote al melodic rock d'estrazione statunitense, alle quali partecipano in veste di guest elementi dei Broken Glazz, l'hard rock mainstream di un'ipotetico hit single della levatura di "Escape from the rock" che profuma tanto di Dokken, Winger e White Lion, le gogliardiche ambientazioni ricamate dal fast tempo "Hit man Boogie", song contraddistinta da una prestazione d'insieme davvero encomiabile, paragonabile ai Van Halen dei tempi che furono, grandiosa la reprise jazzata chene segna il finale, fino a d arrivare ai veri e propri capolavori del disco, ovvero lo swing derivato dall'incontro/scontro fra l'hard rock malsano degli esordi, ed il ritmo funky che contraddistinguono le atmosfere di "Latin Lover", con tanto di cameo dedicato al mitico Fred Buscaglione, ed il capolavoro "She will be hangin' over" song che rappresenta al meglio quella voglia di scrollarsi di dosso tutte quelle classificazioni e quelle etichette preconfezionate che, negli ultimi anni, hanno sempre più preso piede.
Un grande disco dunque, davvero imprescindibile per ogni buon hard rockers degno di questo appellativo, edito nel solo formato digitale, ma di difficile reperibilità come per ogni disco di heavy rock uscito dalle nostre parti, provate a richiederlo direttamente alla band, oppure armatevi di sana pazienza e di qualche migliaio di yen, e provate ad incorciare le dita, anche perchè chissà che il ritono sulle scene della band, non possa riportare a galla anche questo splendido disco....
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