Penso che prima di parlare di questo film ci si debba fare una domanda: che cosa mi aspetto concretamente dal remake di un film perfetto per mille ragioni diverse irripetibile? Perché è chiaro che questo poi sia un aspetto fondamentale per valutare in maniera oggettiva questa opera, lasciando un attimo da parte ogni devozione e aspetto emotivo (comunque non trascurabile nel complesso). Solo dopo questo processo allora possiamo passare con la dovuta tranquillità a parlare del remake di "Death Wish"diretto da Eli Roth sulla base di una sceneggiatura di Joe Carnahan naturalmente basata sul romanzo di Brian Garlfield e principalmente sul primo film della serie interpretrata dal mitico Charles Bronson diretto da Wendell Mayes.

Detto che la storia riprende in buona sostanza la stessa che nel primo film (con qualche differenza, tipo che Paul Kersey qui fa il dottore invece che l'architetto...), gli aspetti principali da considerare riguardano il personaggio protagonista e le sue interazioni psicologiche con gli altri personaggi e il contesto in cui viene ambientata la storia. Il progetto pare fosse in cantiere da diverso tempo e al posto di Bronson la scelta alla fine è caduta su Bruce Willis. L'attore sicuramente non è nuovo a indossare i panni dell'uomo d'azione e del "giustiziere": se da una parte è apprezzabile che non cerchi di ripetere il personaggio di Bronson ma di reinventarlo secondo le proprie caratteristiche, dall'altra bisogna pure dire che queste siano inadatte al contesto, così come non possiamo non riscontrare anche in questa occasione una certa stanchezza che già da un po' di tempo caratterizza tutte le sue interpretrazioni.

Ma le considerazioni più interessanti riguardano ovviamente la contestualizzazione storica. È chiaro che negli anni settanta "Death Wish" si inseriva alla perfezione in un contesto storico che richiedeva prepotentemente la produzione di film di questo tipo e che spingeva a analisi di carattere psicologico e sociale (approfondite anche in film classici come "Taxi Driver" oppure "Il giocattolo" di Giuliano Montaldo) che qui mancano completamente. Ma questo non è tanto perché oggi la criminalità sia sparita, così come non è scomparsa quella diffusa richiesta di "giustizia" pure e soprattutto se espressa in maniera sommaria. Così come del resto ci raccontano anche le cronache del nostro paese dell'ultimo periodo: da tutto quello che è successo prima, durante e dopo le elezioni (il caso di Macerata è emblematico). Ma da questo punto di vista il film manca completamente di ogni tipo di analisi e questo è sorprendente: se pensiamo alle lacrime del presidente Barack Obama (il cui più grande fallimento - inevitabile - è stato proprio la lotta all'uso e la detenzione delle armi) nel gennaio del 2016 dopo la strage della scuola elementare Sandy Hook di Newtown, Connecticut. Considerazione che a parte il confronto diretto con il super-classico film del 1974 rendono questo film un thriller della serie "vigilante" come tanti con una storia tanto lineare quanto poco sorprendente e povera di spunti particolari e colpi di scena.

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