"Ci sono persone che guardano il mondo e si chiedono perché. Ce ne sono altre che guardano il mondo sognando come dovrebbe essere e si chiedono perché no." Robert Francis Kennedy
Il 1968, anno che è passato alla storia come uno dei più turbolenti, segnato da forti contrasti politici, scontri razziali e rivolte ma soprattutto è un anno che segna profondamente con i suoi avvenimenti tragici la realtà sociale americana, gli omicidi di Martin Luther King prima e poi di Robert Kennedy riportano le speranze del popolo pacifista, non solo americano, a contatto con la vera faccia della realtà contemporanea, una faccia poco propensa ai dialoghi di pace e decisamente più dedita a calcoli economici e strategie di ben altro tipo.
Quasi quarant'anni dopo la memoria di quei giorni è ancora viva nell'anima politica degli USA ma anche del resto del mondo, e questo è stato ben dimostrato dal successo, sia di critica che di pubblico, che ha avuto "Bobby" di Emilio Estevez, film dedicato alle primarie in California del senatore Kennedy, fondamentali per la corsa alla presidenza, ma soprattutto al loro tragico epilogo all''Hotel Ambassador di Los Angeles il 5 Giugno. La grande forza del film, e volendo anche un po' il suo limite, è quello di non avere un taglio documentaristico ma di riuscire a raccontare delle storie dentro la storia, ci sono ben 22 personaggi in "Bobby" e nessuno di loro è il protagonista, una sorta di "verismo" moderno in cui le figure che popolano questo albergo vengono lasciate sole e guardate con un occhio però mai totalmente acritico da Estevez, che lascia trasparire molte volte l'anima democratica e una filosofia di speranza e di pace che riporta in pieno l'anima politica di Kennedy. La figura di Robert Kennedy non è sicuramente quella di un angelo, la sua famiglia aveva molti scheletri nell'armadio, ma il regista decide che sia proprio il senatore a raccontare se stesso utilizzando materiale d'archivio, discorsi e i sentimenti del popolo americano per cercare di fornire un'immagine il più fedele possibile alla realtà del tempo, un uomo che stava cercando di salvare un paese dalle mille contraddizioni, immerso in un conflitto senza via d'uscita, e quelle sue parole "Hanno creato un deserto e lo chiamano pace" riferite al Vietnam, suonano terribilmente attuali.
Girato con un buon ritmo, il film è gestito molto bene nella sua coralità, Estevez racconta molte storie, quella del vecchio portiere (Anthony Hopkins), del direttore fedifrago (William H. Macy), di sua moglie (Sharon Stone) parrucchiera delle dive dell'Hotel, di una cantante alcolizzata ormai al tramonto (Demi Moore), dei tanti camerieri e addetti alle cucine immigrati dai più svariati paesi, e molti altri, tutti vedranno svanire i loro sogni per un mondo più giusto nelle cucine dell'albergo quando un immigrato messicano porrà fine alla vita di Robert Kennedy.
Una pellicola drammatica, malinconica, un atto d'accusa verso l'attuale amministrazione americana, ma anche un ritratto toccante di una generazione politica che è rimasta incompiuta, di un periodo storico complesso e articolato che ha lasciato molto, tanto che alla fine ciò che è venuto dopo appare come qualcosa di superfluo.
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Altre recensioni
Di Hakosss
Lui riuscì a ristabilire nel cuore di tutti gli statunitensi una nuova fiducia, coraggio e voglia di continuare.
A questo puntava più di tutto Estevez, a farci vedere il passato con un'intensa riflessione sul presente ed uno sguardo furtivo al futuro.