Yggdrasill degli Enslaved, nonostante si tratti di un album a pieno titolo (6 tracce; 41 minuti), è purtroppo disponibile solo in "split" con il pessimo The Forest Is My Throne dei Satyricon. Perché, dunque, dedicare una recensione a ciò che parrebbe null'altro che un banale demo di un (allora) misconosciuto gruppo norvegese alle primissime armi?
Elementare: perché Yggdrasill è il "Viking".
Dimenticate Bathory, Thyrfing, Windir, Moonsorrow e quant'altro; l'originalità della proposta, e la sua primordialità, ne fanno un hapax irripetibile, incomparabile.
"Eresie!" qualcuno starà pensando. No, perché Yggdrasill, unico, rappresenta ed esemplifica la violenta ricerca dell'ancestrale, la potenza del mito dal quale direttamente proviene (L'Edda di Snorri, per i più interessati e colti).
Perché Yggdrasill è pura (strictu sensu) ispirazione romantica, idealizzata ed idealizzante, di un Nord fantastico, incontaminato e purtroppo, oggi come allora, irreale.
Perché Yggdrasill è il matrimonio fisico e semantico tra musica descrittiva (cfr. Greig, Sibelius) e violenza musicale (cfr. MayheM, Immortal); non importa la rozzezza della produzione o l'imperizia tecnica, naturalmente.
Perché Yggdrasill parla in un linguaggio inedito di un antico, spietato ghiaccio, quel ghiaccio tanto caro agli Enslaved (cfr. Frost e Isa, gli album fondamentali, alla lettera "gelo" e "ghiaccio").
I titoli di queste letali, fredde delizie (per palati raffinati, s'intende):
I Heimdallr
II Allfqdr Odinn
III Hal Valr
IV Niunda Heim
V Resound of Gjallarhorn
VI Enslaved
Ita stat vobis, giacché dopo l'insufficiente parafrasi, l'indescrittivo aggettivo, la storpia parola che violenta il senso dell'Arte (e di quest'arte), altro non resta se non sedere attenti, alzare il volume ed attendere...
i vichinghi...
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