Lodati in patria, i gruppi black metal italiani sono quasi del tutto ignorati all'estero; questo è semplicemente il risultato di una supervalutazione dei critici nostrani, che ha portato alla consacrazione nazionale di gruppi spesso indegni o comunque scialbi e monotoni. Gli Enthroning Silence fungono mirabilmente da esempio: lodati sul suolo italico come promesse dell'underground europeo non sono ancora riusciti a dimostrare il loro potenziale, perso in due dischi assolutamente anonimi seppur pregevoli e interessanti.
Unnamed Quintessenze Of Grimness è la prima prova del duo di Alessandria, ed esce senza un vero passato underground di tape e demo che contraddistingue la maggior parte delle band: un vero peccato, dato che questa immaturità si farà ampiamente sentire tra i solchi del disco.
L'album si articola in sei capitoli lunghi e collegati tra loro da una sorta di concept che illumina il pensiero delle due menti dietro il progetto (Seeker of the Unknown e Alsvart): un discorso infarcito di esoterismo, misticismo, riflessioni sul senso della vita, della morte, da una prospettiva mai banale ma anche raramente esaltante. La penna di Alsvart è un po' pesante nel tracciare i concetti e le sensazioni attorno cui ruota l'immaginario degli Enthroning Silence: anche il tema del silenzio, che permea e caratterizza la band, inteso come elemento fondante dell'universo, rimane sempre sullo sfondo, sfuocato...
L'attenzione che il gruppo impiega nella progettazione di questa cornice è ben spesa ma tutto sommato si respira aria di routine: l'artwork, bello nelle sue tonalità di grigio e argento, risulta un po' di maniera, poco originale ed alquanto scontato. Le preziose frasi che arricchiscono il booklet sembrano fare il verso a qualche diario di liceale triste e depresso, alle prese con una lezione troppo difficile di algebra: "Il silenzio segnerà il nostro tempo" e "Quando saremo cenere saremo ovunque" mi fanno più pensare alla reazione malinconica davanti ad un 5 in trigonometria che non alla seria introspezione.
Come detto lo stile lirico di Alsvart, pur evitando di abbandonarsi a facili volgarità o pacchianate in stile Forgotten Tomb, non raggiunge mai la linearità di Vikerness, che in tre-quattro immagini tracciava il bilancio di un'esistenza. Al massimo gli Enthroning Silence possono azzardare un:
"Nel mio spirito
Ombre e nebbia riposano silenziose
Mentre ricordi di lontane congiure
Mi fremono nel sangue"
A livello musicale i nostri pagano un fortissimo tributo a Filosofem di Burzum: stesso stile estremo, ai limiti del Black metal tradizionale, stessa attitudine dimessa e sognante. Se ci fosse la stessa genialità gli Enthroning Silence somiglierebbero davvero al tedesco Wigrid, maestro nel ricreare le atmosfere burzumiane dei primi anni '90: ma il talento e la personalità latitano in quasi tutto il disco.
Si respira una costante mancanza d'ispirazione: certo questo è un genere dove la varietà, la tecnica e l'originalità non sono doti necessarie, ma queste scuse non permettono al gruppo di emergere pulito dalla pozzanghera in cui si è insozzato. Le scelte di produzione ricalcano quelle di Burzum, ma lo fanno in modo caricaturale, e stonano di fronte all'immediatezza del Conte, che agiva così senza rifletterci, senza farne una posa. Solamente "Embraced To Cosmic Infinity" e "Transfiguration Of The Triarchy" scuotono l'ascoltatore addormentato: gli Enthroning Silence hanno scelto un genere difficile da gestire, poco fluido, che non sembrano saper modellare a propria volontà.
La produzione volutamente trascurata appiattisce il suono in modo miserevole, impastando tra loro i riff e relegando la batteria (che già di suo ha un suono terribile) in sottofondo. Gli effetti usati per le chitarre poi sono originali ma stonano con l'atmosfera del disco: le distorsioni sembrano quelle di una band garage uscita fuori dall'epoca grunge, e ricordano i Mudhoney.
Un vero peccato. Il talento c'è. Vedremo cosa faranno in futuro.
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