Il Cinema che racconta la Vita Vera.

E’ un periodo che preferisco i documentari ai film. Preferisco la vita VERA a quella romanzata, sceneggiata e studiata a tavolino dagli Studios di Hollywood. Preferisco storie di fatti e persone CONCRETE, fuori dall’ordinario, che vivono come noi e che nella loro vita hanno “osato” quello che molti di noi, per codardia, paura o mancanza di convinzione, non farebbero mai.

E’ con questo spirito che ho visto pochi giorni fa questo documentario “Clown in Kabul” del 2002, che parla delle peripezie del famoso medico/clown Patch Adams che, con un ristretto manipolo di dottori e vari volontari, è partito alla volta di Kabul per prestare assistenza e cure mediche ai bambini di quei territori devastati da troppe guerre.

Questa strana “armata Brancaleone” si è soffermata in vari ospedali da campo e luoghi improvvisati per cure mediche di diverse organizzazioni umanitarie (da Emergency di Gino Strada alla Croce Rossa Italiana) e, ripresi giorno e notte da diverse troupe televisive, hanno creato un documentario davvero commovente e spesso sconvolgente nel suo contenuto disarmante per l’umanità e la disperazione di certi volti e certe situazioni davvero insostenibili.
Con una regia oculata e accorta di due italiani (Enzo Balestrieri e Stefano Moser) al loro esordio dietro la telecamera, e con la supervisione artistica di Ettore Scola, veniamo condotti a “vivere”, con i protagonisti che impersonificano stessi, le loro stesse emozioni, dalla partenza da Roma, fino in Kabul e nei rispettivi viaggi all’interno di un paese ormai martoriato da una guerra senza fine, ormai sedimentata nel tessuto culturale di quei popoli.

Nessuna pietà e nessun tentativo di “romanzare nulla”: il lavoro delle telecamere tagliente come bisturi entra nel vivo delle vita di gente disperata riversa nelle sale degli ospedali, bambini privi di arti, mamme senza più lacrime per la perdita di uno o più figli, anziani ormai senza speranza, tra sguardi sconvolti nel vedere questo strano gruppo di occidentali presentarsi con le facce truccate da clown, strappando timidi sorrisi dalle facce che si fanno via via più rilassate, Una specie di reazione per contrasto: da una parte la Guerra e dall'altra i Clown!. Sorrisi come cura, usati in cambio di altri sorrisi in un contagio di tenera ilarità proprio dove c’è GRAN POCO da ridere in alcune sequenze davvero commoventi e toccanti come raramente il cinema riesce a proporci.

Nessun artificio, nessun effetto speciale qui, nessuna bella fotografia… solo la nuda e cruda realtà e l’occhio abile e discreto di una telecamera, attenta a cogliere riflessi di un calore da tempo ormai assente in questi luoghi, che contagia tutti… compreso i medici stessi che a tratti non riescono a trattenere le lacrime, coinvolgendo anche noi spettatori assenti, in questo “urlo interiore” di impotenza e rabbia che si tramuta in più occasione in lacrime amare.
La cosa bella è che tutti i proventi dell’iniziativa sono poi andati DAVVERO alle organizzazioni in Afghanistan coinvolte nel film e questo non può che farci solo piacere.

Un film secco, duro, impietoso (presentato come Evento Speciale alla 59ma mostra del cinema di Venezia del 2002) che sa regalarci qualche sprazzo di “pura poesia” non artefatta ne ricostruita a tavolino per compiacere nessun spettatore e che, in più, tramite l’intero incasso, ha avuto il dono di fare REALMENTE del bene a qualcuno che sta AL DI LA’ del mondo ma che ha sogni, ideali e speranze in tutto simili a noi e che da anni, quotidianamente, lotta per un arto di legno, un tozzo di pane o un qualsiasi vacino (per noi alla portata di una Farmacia qualsiasi).

Questo tipo di film, l’ho già detto in altre sedi, andrebbero a mio avviso proiettati nelle scuole, per rendersi conto che razza di privilegi abbiamo noi europei, ad essere nati qualche migliaia di km più in qua che non dall’altra parte.

Sembra una sciocchezza ma bisognerebbe tenerlo a mente ogni tanto…

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