Un progetto lungamente accarezzato da padre Enzo e figlio Paolo, qui autore di tutti gli arrangiamenti (bellissimi, fra l'altro) vide la luce nel novembre del 2006, dopo due anni di lavorazione.
Trattasi di un best sui generis. Jannacci sceglie 32 tra le canzoni del suo vasto repertorio, più tre inediti, e li ricompone a modo proprio, con nuovi arrangiamenti e nuovi, diciamo così, umori. Alcune cose restano fuori, e sono cose importanti ("Ho visto un re", "Faceva il palo", "L'Armando") e in genere gli anni '60 sono un po' più sacrificati rispetto ai '70 e agli '80, ma tanto è imponente l'opera (2 CD per dure e mezza di musica) che in fondo gli si perdonano alcune dimenticanze.
Da una "Vengo anch'io no tu no" in versione Duke Ellington, a una "Giovanni telegrafista" con il basso in primo piano e un'invocazione finale struggente ("Alba è urgente") c'è di che leccarsi i baffi. Il primo tempo fila via con, tra le altre, una sorprendente "Soldato Nencini" e una "Io e te" jazzata fino alla commozione, una "Vincenzina e la fabbrica" strascinata all'inverosimile e una ennesima variazione sul tema di "Quelli che", con particolare lode alla versione italiana (in originale era in dialetto milanese) "Donna che dormivi". Discorso a parte per la straordinaria "La costruzione" (che da sola varrebbe l'acquisto del disco), una traduzione di Chico Barque de Hollande sulle cosiddette morti bianche: parte piano, recitata, esplode e vorresti non finisse mai. Più gli inediti: "Rien ne va plus" (l'inno jannacciano dell'ultimo periodo, "Brutta puttana che è la vita"), la divertente "Il ladro di ombrelli" e la iper, forse un po' troppo, malinconica "Mamma che luna che c'era stasera".
Leggermente sottotono, ma è un dettaglio, il secondo tempo. L'inizio è, però, strepitoso, col duetto simil-scherzo su "Bartali" in compagnia di Paolo Conte. Poi una serie di canzoni dell'ultimo periodo, quello 2001-2003 (fra l'altro le uniche non ri-arrangiate), salvo poi riprendersi con i brani più celebri del primo periodo. E qui si vola: strepitosa, e già lo era quarant'anni prima, "Sei minuti all'alba", da ascoltare nota per nota; sorprendente il recupero della dimenticatissima "Il Duomo di Milano" a cui si contrappone la danzante "Per un basin"; bello il nuovo arrangiamento della vetusta "Andava a Rogoredo", meno convincente quello di "El portava i scarp del tennis", peccato, e scanzonata la travolgente "Veronica".
C'è ovviamente dell'altro (non ho citato "Ci vuole orecchio", "Sfiorisci bel fiore", "Gli zingari", "Ohè sun chi") ma c'è, e va detto, una confezione prestigiosissima, eh già perchè il cofanetto è corredata da una prefazione del fu Gianni Mura, un genio, in cui, tra le altre cose definisce Jannacci un rompicoglioni, ma un rompicoglioni sui generis. E di come la Milano da lui cantata, se effettivamente scomparsa, già nel 2006, è destinata a rimanere eterna, forse anche un po' leggendaria, proprio grazie all'opera di Jannacci, il rompicoglioni.
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