Altra recensione jannacciana. Adesso, non voglio intimorire nessuno, pero' parlare di Jannacci mi piace assai, e credo che continuerò a farlo. Ma veniamo a noi.
A partire dagli anni '70, esattamente dal 1975 in poi, Jannacci comincia a concepire la musica non più come un mucchietto di 45 giri messi insieme in modo da formare un disco, ma come un album vero e proprio, con un inizio e una fine (sarà quel capolavoro assoluto di "Quelli che" a farglielo capire). L'album in questione, "Vengo anch'io no tu no", del 1968, è invece una raccolta di singoli usciti, alcuni con successo altri meno, nei mesi precedenti l'uscita del disco. Non che sia un male, pensate al Battisti di "Emozioni". E qui Jannacci mette insieme un semi-capolavoro (per me uno dei suoi 5 album migliori), perchè i 45 giri in questione sono delle perle clamorose.
Il lato A è quello più ridanciano, o quasi. Si parte con la censuratissima "Ho visto un re" (quella in cui si deve stare allegri che il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam), che ovviamente la Rai rifiutò ma divenne un successo lo stesso (bella forza, il testo è di Dario Fo). Così come censurata fu la stessa "Vengo anch'io no tu no", suonata tutta con un'apparenza stonata, e che ebbe un successo strepitoso nonostante le ultime due strofe non siano mai state incise, e il perchè, leggendole, è facile capirlo:
«Si potrebbe andare tutti insieme nei mercenari
vengo anch'io? No tu no
giù nel Congo da Mobutu a farci arruolare
poi sparare contro i negri col mitragliatore
ogni testa danno un soldo per la civiltà.
Vengo anch'io ...
Si potrebbe andare tutti in Belgio nelle miniere
Vengo anch'io? No tu no
a provare che succede se scoppia il grisù
venir fuori bei cadaveri con gli ascensori
fatti su nella bandiera del tricolor»
L'altro capolavoro è "Giovanni telegrafista", mesta come poche. Si tratta di una traduzione di una canzone brasiliana di Cassiano Ricardo dal titolo "Joao". L'amore sfuggevole vista dagli occhi di un povero, e umile, telegrafista che rimpiangerà, quell'amore, tutta la vita. Ci si commuove, ma tanto.
Seguono altre piccole perle, tra cui vorrei citare "Pedro Pedreiro" con musica di Chico Barque de Hollande, ma soprattutto "La mia morosa la va alla fonte", la cui musica venne utilizzata da De André per comporre "Via del campo" (si tratta di una canzone che aveva già tre anni sulle spalle quando venne inserita in questo album).
Il lato B è profondo, duro, a tratti disperato. E disperata è la canzone che lo annuncia, una delle migliori di Jannacci (ma una delle migliori di tutti i tempi), "Il giorno che partì mio padre" (rifatta anche da Mina nel 1977). Canzone antimilitarista per eccellenza, strappa il cuore dalla drammaticità dell'evento e per quel finale ("il giorno che partirò anch'io spero che sia Natale") che è roba da alzarsi in piedi, applaudire, o piangere, e pensare che uno grande come Jannacci in Italia (forse) non ce lo meritavamo (piccola polemica personale).
Da segnalare anche "La disperazione della pietà", cover di un brano di Vinicious de Moraes, che sembra anticipare l'elenco di "Quelli che":
Signore abbiate pietà di quelli che vanno in tram
e nel lungo tragitto sognano automobili, appartamenti,
ma abbiate anche pietà di quelli che guidano l'automobile,
sfidando la città gremita, semovente di sonnambuli.
Abbiate molta pietà del ragazzo mingherlino e poeta,
che di suo ha solo le costole e l'innamorata bassina,
ma, ma abbiate maggior pietà dello sportivo colosso impavido e forte
e che si avvia lottando, remando nuotando alla morte.
C'è anche "Hai pensato mai" scritta da Lino Toffolo (ma qualcuno se lo ricorda Lino Toffolo?) e la delicatissima "Non finirà mai" con i suoi noccioli, pulcini e bambini (verrà rifatta dallo stesso Jannacci nel suo ultimo disco, "L'artista", del 2013), brano d'amore, ma disperato, con finale, però, speranzoso e liberatorio.
Un capolavoro. Saranno anche solo dei 45 giri messi insieme a formare un album, ma vabbè, avercene. (Quasi) perfetto (ci sono due, tre canzoni che non mi hanno mai convinto, e che non ho citato, che mi impediscono di mettergli 5 stellette).
Elenco tracce testi e video
01 Ho visto un re (04:04)
Dai dai, conta su...ah be, sì be....
- Ho visto un re.
- Sa l'ha vist cus'e`?
- Ha visto un re!
- Ah, beh; si`, beh.
- Un re che piangeva seduto sulla sella
piangeva tante lacrime, ma tante che
bagnava anche il cavallo!
- Povero re!
- E povero anche il cavallo!
- Ah, beh; si`, beh.
- è l'imperatore che gli ha portato via
un bel castello...
- Ohi che baloss!
- ...di trentadue che lui ne ha.
- Povero re!
- E povero anche il cavallo!
- Ah, beh; sì, beh.
- Ho visto un vesc...
- Sa l'ha vist cus'e`?
- Ha visto un vescovo!
- Ah, beh; si`, beh.
- Anche lui, lui, piangeva a calde lacrime,
faceva un gran baccano,
mordeva anche una mano.
- La mano di chi?
- La mano del sacrestano!
- Povero vescovo!
- E povero anche il sacrista!
- Ah, beh; si`, beh.
- e` il cardinale che gli ha portato via
un'abbazia...
- Oh poer crist!
- ...di trentadue che lui ce ne ha.
- Povero vescovo!
- E povero anche il sacrista!
- Ah, beh; si`, beh.
- Ho visto un ric...
- Sa l'ha vist cus'e`?
- Ha visto un ricco! Un sciur!
- S'...Ah, beh; si`, beh.
- Il tapino lacrimava su un calice di vino
ed ogni go-, ed ogni goccia andava...
- Deren't al vin?
- Si`, che tutto l'annacquava!
- Pover tapin!
- E povero anche il vin!
- Ah, beh; si`, beh.
- Il vescovo, il re, l'imperatore
l'han mezzo rovinato
gli han portato via
tre case e un caseggiato
di trentadue che lui ce ne ha.
- Pover tapin!
- E povero anche il vin!
- Ah, beh; si`, beh.
- Ho vist un villan.
- Sa l'ha vist cus'e`?
- Un contadino!
- Ah, beh; si`, beh.
- Il vescovo, il re, il ricco, l'imperatore,
persino il cardinale, l'han mezzo rovinato
gli han portato via:
la casa
il cascinale
la mucca
il violino
la scatola di kaki
la radio a transistor
i dischi di Little Tony
la moglie!
- E po`, cus'e`?
- Un figlio militare
gli hanno ammazzato anche il maiale...
- Pover purscel!
- Nel senso del maiale...
- Ah, beh; si`, beh.
- Ma lui no, lui non piangeva, anzi: ridacchiava!
Ah! Ah! Ah!
- Ma sa l'e`, matt?
- No!
- Il fatto e` che noi villan...
Noi villan...
E sempre allegri bisogna stare
che il nostro piangere fa male al re
fa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam,
e sempre allegri bisogna stare
che il nostro piangere fa male al re
fa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam!
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Di Martello
La canzone nasconde dietro la storia di un emarginato che viene continuamente rifiutato dal gruppo, ma continua ad essere un tormentone.
Enzo ha fatto storie senza fine e gli voglio dire grazie che non abbia mai deciso di scrivere un finale alla sua creatività.