Segnatevi queste date a futura memoria: 1958, 1975. Sono due date, ok, ma sono due date importanti. In qualche modo segnano l'inizio (1958) e la fine (1975) della storia del cinema italiano che conta. L'apripista fu "I soliti ignoti" (di cui un giorno vi parlerò), la fine la segnò "Amici miei", l'ultima grande commedia possibile. Da Monicelli a Monicelli: e non è un caso.
Proprio lì in mezzo, tra un "Sorpasso" ed un "Matrimonio all'italiana", poco prima dell'agonizzante finale, ci sta un grande film, "C'eravamo tanto amati", firmato Scola. Ettore Scola.

Scola è un campano duro e puro, cresciuto durante la guerra (è del 1931) di sani e robusti principi di ‘sinistra', non si dà arie da intellettuale, non è snob, cerca sempre di inquadrare la realtà in un contesto storico (e non è facile) e anche quando si lascia andare a qualche eccesso malinconico, vedi "Una giornata particolare" (1977), lo fa in punta di penna, con grazia ed eleganza. Roma è la sua città adottiva: qui vi lavora da poco più di quarant'anni, sempre e solo con grandi attori, da Marcello Mastroianni a Nino Manfredi, da Ugo Tognazzi a Vittorio Gassman. E detiene un record: è il regista italiano che ha ricevuto più candidature all'Oscar, ben 4. Vinte, ahimè, nessuna.
Lì in mezzo, come dicevo, ci sta "C'eravamo tanto amati", il suo film più politico e al contempo il suo lavoro più intimista. Un film coraggioso certo, ma anche ambizioso. Vi si narrano le avventure di tre amici (Gassman, Manfredi, Satta Flores) che prima combattono insieme i fascisti durante la guerra, poi prendono strade diverse (chi studia per diventare avvocato e chi viene assunto in una struttura ospedaliera), ma le loro vite continuano ad intrecciarsi, sempre seguite dal filo rosso rappresentato da Luciana (una meravigliosa Stefania Sandrelli) che si innamora di tutti e tre, e poi ne sceglie uno. O forse no?

Storia di un italiano, e storia dell'Italia (o meglio, dell'Italietta). Storia di disillusioni: quando si è giovani si hanno tante idee per la testa, e spesso si fa fatica a metterle insieme. Storia di un Paese nato col mito dell'anti-fascismo e del comunismo, cresciuto poi con la Democrazia Cristiana. C'è chi rimane uguale a sé stesso (Manfredi), chi manda a monte un matrimonio pur di seguire i propri ideali (Satta Flores) e chi rinnega il proprio passato con un modo di fare a metà tra il subdolo ed il cinico (Gassman). Ad affascinare è proprio il personaggio di Gassman: cialtrone complesso e complessato che, dopo essersi attirato le simpatie di un vecchio palazzinaro burino (un Aldo Fabrizi impagabile) si vergogna di dire ai propri ex-amici di possedere una villa ed una piscina.
"C'eravamo tanto amati" non è solo questo. E' anche una profonda riflessione sulla moralità di certi ex-militanti pentiti, ma è soprattutto un film che possiede una tecnica invidiabile. Scola utilizza due diversi piani di racconto: prima il bianco e nero, quello scuro, cupo e triste della guerra e del dolore, poi il colore, quello che precede e racconta il Boom (per chi l'ha visto, naturalmente) e alterna i più svariati linguaggi cinematografici: dal classico racconto di formazione, al teatro nel teatro, al primo piano stretto (spesso i protagonisti si fermano e cominciano a dialogare in camera). Un film corale, un po' alla Robert Altman, ma prima di Robert Altman.

Voto naturalmente altissimo ad Ettore Scola, un gigante nell'uso della macchina da presa, ma sono da applaudire anche le prove dei singoli attori: su Gassman e Manfredi, in verità, c'è poco da commentare (bravi lo sono sempre stati, e qui riescono semplicemente a confermarsi tali), ma andrebbe sottolineata la prova magistrale del purtroppo dimenticato Stefano Satta Flores. Attore di razza, spesso relegato in ruoli marginali, compie qui il vero grande salto nel cinema che conta (ma ci starà davvero pochissimo) interpreta il personaggio forse meno interessante del film ma è quello, forse, a cui Scola tiene di più (ricordi personali? autobiografia debitamente celata?) tanto da regalargi la battuta più bella dell'intero film nonché sintesi estrema di una intera generazione: "Credevamo di cambiare il mondo, invece il mondo ha cambiato noi".

Sullo sfondo una Roma mai così bella e, nello stesso tempo, mai così viscida. Con riferimenti dettagliati sulla vita del Paese, quello che aveva paura delle Brigate Rosse e si chiedeva come aveva fatto Vittorio De Sica a far piangere il bambino protagonista di "Ladri di biciclette" (qui, bisogna aver visto il film per capirne il nesso). Comparsate di lusso, l'onnipresente Mike Bongiorno col suo indimenticabile "Lascia o raddoppia?" e, in una memorabile sequenza alla Fontana di Trevi, Marcello Mastroianni e Federico Fellini.

Grande successo di pubblico, svariati premi anche internazionali. Da vedere. Per non illudersi.

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