C’eravamo tanto amati è uno dei più grandi e importanti film della cinematografia italiana di sempre.

È nell’olimpo insieme a pochi altri… La strada, Ladri di biciclette, Il sorpasso, I soliti ignoti, Rocco e i suoi fratelli…

È un film straordinario sotto molti punti di vista.

Il cast: non sai da che parte guardare. Due giganti, Gasmann e Manfredi, un grande attore, Stefano Satta Flores, che ha ottenuto meno rispetto ai suoi reali meriti. Una Stefania Sandrelli sorprendentemente brava. Un Aldo Fabrizi a fine corsa (ma io nun mòro!) che piazza l’ultima zampata del vecchio leone nell’interpretazione indimenticabile di un ricco e avido palazzinaro romano. E poi Fellini (ho visto tutti i suoi film dottor Rossellini… ah sì? Arrivederci!) Mastroianni, la fontana di Trevi, stanno girando la celebre scena de La dolce vita

La storia: il film è scritto dallo stesso Ettore Scola e da Age e Scarpelli. Stiamo parlando del massimo in circolazione. Stiamo dicendo che se una volta i film italiani erano il top è anche perché erano scritti da dio, poi dovevi “solo” girarli. 30 anni di storia d’Italia, dalla fine della seconda guerra mondiale a metà anni 70. Tre amici, tre partigiani, tre comunisti (forse). Una donna spariglierà le carte, li metterà contro e li farà ritrovare, una donna che sarà di tutti e di nessuno.

Cinema nel cinema: il film, dedicato al maestro Vittorio De Sica, occhio ai titoli di coda, è ricco di citazioni, di spunti e di riferimenti e di omaggi verso il grande cinema italiano. È come una lettera d’amore che non vuol finire mai. La dolce vita dicevamo… pensate, mentre Antonio (Manfredi) il portantino passa con l’ambulanza a funtan de trevi, nel mentre, stanno proprio girando quella scena… e poi la geniale citazione al Pietrangeli di Io la conoscevo bene, la fotografia, le lacrime nere intrise di trucco che rigano le guance della stessa Sandrelli… E che dire del Rischiatutto, sì c’è anche Mike Bongiorno, e della querelle sul reale motivo che fece piangere il bambino di Ladri di biciclette, che poi dopo De Sica, in un’immagine di repertorio lo dice… piange perché in tasca gli avevamo messo dei mozziconi di sigaretta… “hai visto? Avevi ragione tu!!!”.

Ma non basta ancora, il film è magnifico anche dal punto di vista registico, dal gioco perfetto di flash-back, al passato che si ricorda, alla guerra, alla gioventù. E quando torniamo indietro il film diventa in bianco e nero… Poi ci sono dei momenti di meta-cinema come quando Manfredi, d’amblè, parla nella telecamera, parla con noi in un modo confidenziale e in tempo reale magari risponde ad un altro che nel film gli dice qualcosa e lo fa con una naturalezza (la disinvoltura era l’arma in più di Nino) che ti lascia senza parole.

E che dire di quando Scola blocca gli attori e l’unico che può parlare ci fa ascoltare i suoi pensieri, ovvero, quello che vorrebbe davvero dire all’altro? È cinema-sogno, è pura poesia.

È un film che puzza d’Italia e trasuda Italia in ogni singolo fotogramma, fin da subito, già nei titoli di testa, con la sublime colonna sonora del maestro Trovajoli in un pezzo tipicamente italiano, musica da film, signori.

Un film fortemente connotato nel bene e nel male da un’identità, italiana, che forse oggi non c’è più.

Un film che si muove agilmente tra dramma e commedia e storia d’Italia e impegno sociale e denuncia. Un film carico di vita, che cerca risposte e che condanna senza mezze misure (la nostra generazione ha fatto schifo).

Un film circolare, avvolgente, una giostra col cavalluccio che gira e gira e sopra c’è un bambino che ride… che gira e gira e ripassa ancora e il bambino non c’è più e il cavalluccio è tutto scrostato, sverniciato, cigolante e non senti più niente, non c’è più l’odore di zucchero filato, si spengono le luci, la gente torna a casa, il film è finito.

La nostra generazione ha fatto schifo.

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