Passano due anni dal pregevole "Start From The Dark", pluriannunciato come-back dello storico combo svedese e ci ritroviamo di fronte un nuovo capitolo a suggellare la completa rinascita dei nordici: "Secret Society".

Se il precedente lavoro ci aveva deliziato con un'ibrida congiunzione tra l'hard'n'heavy ottantiano ed uno sperimentalismo "alternative" questa nuova fatica porta la sopracitata proposta ai massimi livelli, creando un autentico masterpiece di melodic-rock moderno.
Perfetto l'abbinamento tra tecnicismi a profusione ed immediatezza nel duo strofa-ritornello per tutto l'arco del platter. Nessuna sbavatura di sorta, pezzi composti con l'intento di imprimersi nella mente alla velocitá della luce, intrecci ritmico-chitarristici funambolici ma sempre d'impatto, keys a creare l'eighties feel che li rese celebri e, soprattutto, un Tempest in forma smagliante, in grado (a 43 anni suonati!) di irridere molti piú giovani colleghi.

La differenza con il disco precedente si staglia nell'amalgama di un mastering compatto, volto a donare quel quid "radiofonico" ad abbellire canzoni che giá di per se stesse brillano per freschezza e modernismo. "Secret Society", la title-track, vive tra atmosfere blues-thrash e tastiere che si lanciano in virate soliste prog-power mentre la fantastica "Always The Pretenders" si apre dolcemente acustica per esplodere in un riffing serrato di Purpliana memoria adornato dall'ugola di Joey, incredibilmente intensa e sicura. Un chorus da gridare a squarciagola ed un solo carico di sentimento la rendono picco assoluto del platter. In "Gateway Plan" fanno capolino i Rainbow di Blackmore, partiture di chitarra molto aggressive duettano con un cantato melodico ma pieno di energia ove Levén ed Haugland generano un delirio ritmico fantasioso, veloce e preciso. Incredibile realizzare che questi musicisti sono degli ultra-quarantenni ed é importante capire quali origini musicali animano gli Europe, ingiustamente a lungo tacciati di incapacitá nel "suonare duri".

Nel mid-tempo "Wish I Could Believe" si sentono persino gli A Perfect Circle dal mellifluo guitar-work introduttivo mentre la ruvidezza "aggraziata" si libra nei capogiri sonici di "Human After All". Track davvero intensa nell'avvincente duello basso-batteria, cupa ed incisiva nel rifferama tra i Sabs ed il groove-rock ma soprattutto arricchita da un chorus vecchia maniera di lacrimante emotivitá. "A Mothers Son" incarna le fattezze di una ballad dalle atmosfere drammatico-nostalgiche infarcite di tastiere sulfuree ed una prova vocale sopra le righe, solinga nelle strofe, solenne ma sempre armonica nel ritornello. I moods del passato piombano vorticosi nella delicatezza di "Forever Travelling", Norum si lascia andare ad una sei corde leggera e vellutata, Joey fá il resto regalandoci una melodia di gran carisma vicina ai fasti di "Out Of This World".

La chiusura affidata a "Devil Sing The Blues" si scioglie in un intro reminiscente gli Opeth di "Still Life" per continuare in un lavoro vocale intriso di triste passionalitá e solidi riffs d'accompagnamento. Gran finale in un susseguirsi solista d'effetto di un John Norum immenso, capace di far "cantare" lo strumento come pochi altri.

Per finire "Secret Society" rappresenta la maniera migliore di rendere attuale un genere musicale oramai passato di moda come l'hard-rock anni ottanta e senza sbilanciarmi lo giudico come apice stilistico-compositivo della band sia per completezza che per maturitá. Ancora una volta sugli scudi come ai vecchi tempi.

 

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