Capelli cotonati, vestiti glam, tastiere pompose e cori a gogo. Questo era un gruppo che ha fatto storia, di nome Europe.
Vi starete chiedendo perché ho usato il verbo imperfetto invece che presente visto che sto facendo la recensione di questo nuovo disco, uscito all’incirca un mese fa. La spiegazione è semplice: gli Europe di oggi sono un gruppo nuovo. Se non fosse per la voce del carismatico Joey Tempest, che è comunque nella maggior parte dell’album quasi irriconoscibile rispetto ai fasti passati, quasi non si direbbe che davvero il gruppo sia quello. Sono stato in trepidazione dal primo momento in cui è stata annunciata la reunion, anche se le dichiarazioni dell’ex-Europe Kee Marcello di non aver voluto partecipare a causa del nuovo stile chitarristico di Norum (oramai fissato sul genere di Zakk Wylde e dei suoi Black Label Society un grezzo rock-thrash-blues) mi mettevano qualche preoccupazione riguardo al nuovo album.
Non sapevo a che pensare se non al fatto che, comunque fosse stato questo comeback, io non avrei perso per nessun motivo l’occasione di ascoltare la nuova fatica e se possibile osservare in sede live la forma del gruppo nato nel lontano 1980.
Il disco è quindi arrivato e subito senza esitare sono saltati fuori dal mio portafoglio quella manciata di “euri” che necessitava l’acquisto. Sinceramente il primo ascolto mi ha davvero shockato : chitarre pesanti, batteria granitica, tastiere e cori raramente presenti e soprattutto un Joey Tempest (diciamocelo marchio degli Europe anche perché principale compositore) che stentavo a riconoscere.
Una grande delusione mi stava sopraffacendo, ricordavo i bei tempi di “Out of this world” (che consiglio vivamente a tutti coloro che vogliono un ottimo disco di melodic rock), con quelle melodie che ti facevano sognare e con Joey a evocare magiche immagini con quella sua voce così angelica, e mi chiedevo dove fossero andati a finire. Poi mi sono fermato un attimo a pensare al titolo… “Start from the Dark”… Allora ho capito che quelli che stavo ascoltando non erano gli Europe che io conoscevo, ma era una loro rinascita dall’oscurità.

L’album di per sé come già detto ha tinte piuttosto scure e malinconiche; persino nelle ballad c’è un sostanziale velo di tristezza e di rabbia. Le canzoni sono per lo più dei mid-tempo con riff corposi e tenebrosi, molto tendenti addirittura al blues-thrash (vedi ultimi lavori di Ozzy Osbourne),tra cui spiccano la bella opener “Got to have faith” e “Wake up call”. C’è spazio però anche per qualche ballad quale la carina “Roll with u” o la anonima “Settle for love” in cui fanno da padrone chitarre acustiche e piano. Ora veniamo però ai dolori. Non mi sarei mai aspettato dei pezzi come “Song n.12” che sembra prendere e mettere insieme, quasi in un collage, varie parti di pezzi degli Audioslave (notare soprattutto il cantato di Tempest… che vergogna!!!) e neppure una canzone così demenziale come “Sucker” che avrebbe potuto stare benissimo in un album di Avril Lavigne (senza nulla togliere a quest’ultima, sia ben chiaro). Nonostante ciò la prestazione di questi mostri sacri che fanno di nome Joey Tempest (voce), Jhon Norum (chitarra), Ian Haugland (batteria), Mic Micheli (tastiere) e Jhon Leven (basso) è piuttosto energica e compatta, forte di una ottima produzione e di una notevole coesione a livello di gruppo.
Unica pecca forse le tastiere di Micheli piuttosto in secondo piano se non in alcune parti riservate agli assoli o alle ballad.

Insomma in fin dei conti è si un nuovo inizio, ben prodotto e forse anche ben confezionato (nonostante l’artwork sia veramente scarno se non fosse per i testi delle canzoni), ma mostra segni evidenti di una trasformazione che per certi versi può esser anche piacevole (per l’energia sprigionata ben più abbondante che in passato), ma per altri denota una abissale caduta dall’Olimpo dei grandi, per un gruppo che penso non avesse alcun bisogno di scimmiottarne altri per ottenere un odierno successo.

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