Quando Kurt morì, sul vassoio rimanevano ancora parecchie briciole e qualche fettina della torta del grunge. Gli adolescenti, infondo, non erano ancora ventenni; i ventenni non ne avevano ancora trenta, la generazione non era stata ancora rimpiazzata e la domanda di grunge superava decisamente l'offerta. Ma a chi dare lo scettro del re? Chi per la successione? Chi, se i Pearl Jam si rifiutarono di seguire la loro strada degli esordi? Nel '96 Billy Corgan pubblicò il suo manifesto generazionale, autoproclamandosi l'erede... Tutto coincideva alla perfezione, infondo: basti pensare alla sua relazione con Courtney Love, precedente nel tempo a quella che legò in matrimonio l'american sweetheart a Cobain. "Nonostante la mia rabbia sono ancora un topo in gabbia": questa frase andrebbe bene anche in italiano, e forse in tutto il mondo ed in tutte le sue lingue... Una frase universale, per tutti i giovani di un'intera generazione... Qualche annetto dopo, è a Corgan che si affidò Courtney per affrontare il primo disco della vedovanza. Tutto fa pensare che fu proprio Billy il re pro-tempore del grunge, il re della fine dell'impero.

Prima della fumata bianca in suo favore, gli altri papabili erano Dave Grohl che esordiva, Layne Staley ed il suo ultimo cd d'inediti, i Soundgrarden di "Black Hole Sun"... E per quanto riguardava le new entries? Piuttosto che citare Gavin Rossdale dall'Inghilterra, Dolores O'Riordan dall'Irlanda, o peggio ancora Daniel Johns dall'Australia, un nome, ed americano, anzi dell'occidente americano, lo faccio io, pur sapendo che per questo mi sarà tirata parecchia merda addosso: Art Alexakis. Forse, per MTV e le majors, non c'era nulla di più promettente e, chissà, affidabile di Art: Staley aveva i suoi problemi, Cornell fece un altro disco con la band, carino, poi si mise in testa che doveva divenire il nuovo Jeff Buckley... Dispiace ammetterlo, ma se questi dovevano essere gli eredi di Cobain...

Alexakis sì che andava bene: era ben più brutto di Cobain, è vero, ma sempre meglio di Corgan dalla futura zucca pelata, fin lì il fratello gemello di Geena Davis; eppoi visse un'infanzia e un'adolescenza che, al confronto, quelle di Billy il triste furono tutte balocchi e spensieratezza. A tal proposito, ciò che non mi quadra è come mai si sia presa in grande (enorme?) considerazione il piacere di Corgan per la stesura di liriche autobiografiche: coloro che si trovano a valorizzare quei versi sono più o meno gli stessi che condannano Alexakis, indicandolo quale speculatore comandato dalle majors, finto alternativo, compiaciuto del proprio malessere esistenziale e dei vari misfatti compiuti fino ad allora. Gli si contesta una falsità di fondo, che a mio parere deriva soltanto dalla consapevolezza che, per una volta nella storia dell'umanità, si stesse vivendo in un periodo in cui era finalmente possibile trarre profitto dall'essere un loser. L'ho scritto anch'io in una mia rece (autocitazionismo?): mai come in quegli anni più sfigato, perdente e fuori dal mondo eri e meglio t'andava a finire.

Dunque perché non prenderlo in considerazione, lui che in alcuni pezzi di questo "Sparkle And Fade" dedica la canzone al diretto interessato come se ce l'avesse davanti, o come se stesse suonando live? A maggior ragione se descrive la donna come una mantide religiosa, se in "Heroin Girl" fa un pezzo che è un misto tra le Hole e "Come And Play" degli Offspring... Lui che ha la spudoratezza di presentandare del grunge non da pogare ma da ballare con la hit "Santa Monica"?

Certo, c'è parecchia roba standard, come il punkazzo di "You Make Me Feel A Whore", le cui incazzature chitarristiche in vista del ritornello suonano quantomeno sospette, o come "Heartspark Dollarsign", punk divertente con sonorità garage ma struttura beach. Gli standards spaccasassi di "Chemical Smile" e di "Twistinside", il punk come mille di "Nehalem", il punkwave intelligente di "Queen Of The Air" e di "My Sexual Life"... Epperò ci sono delle grandi canzoni, come "Summerland", "Electra Made Me Blind" e "Pale Green Stars"... Nulla di tutto ciò che Art propone, comunque, s'avvicina ai ritornelli catchy nirvaniani, il ché non fa di lui un doppione; figurarsi cos'abbia a che vedere con Cornell, Staley e Doctor Zero!

"Sparkle And Fade", dell'anno 28 d.K. è un disco suonato benone e prodotto volutamente a minchia di poverello, lontano dall'essere un capolavoro quanto però dall'essere la merda di cui si va dicendo in giro. Disse bene chi asserì che Alexakis ereditò sì da certa musica come fecero i grandi del grunge, ma che contrariamente a costoro non riuscì ad elaborare la sua cifra personale. Pur mantenendo, dico io, una consistenza sonora granitica, persino negli episodi più pop del futuro. Ma non è sulla musica, che forse è bene centrarsi.

Il perno della diatriba è il seguente: è stato il signor Alexakis artista degno di seria considerazione, nel suo scrivere e cantare disagi e rovine sue e di chi gli stava attorno? E' una colpa  attingere al proprio bagaglio di sventure nella piena consapevolezza che le stesse cose che lo stavano portando alla rovina l'avrebbero, grazie all'intervento d'una major discografica, portato alla fama, al successo ed alla ricchezza? Si, ok, anche alla critica feroce ed al disprezzo di certi puristi, nondimeno a stroncature senza possibilità d'appello, ma sempre e comunque all'aver vissuto il proprio momento di gloria (se quello di Cobain durò 4 anni, ad Art poteva bastare anche la metà), all'aver fatto il proprio gruzzoletto, ed oggi al poter continuare a sopravvivere dignitosamente grazie alla propria passione (gli Everclear, sebbene i cambi di line-up stravolsero il trio, sopravvivono a tutt'oggi attorno al leader: la fine di tante bands, e guarda caso la fine anche degli Smashing Pumpkins).

I testi di Alexakis sono il centro della querelle: se li si considera fasulli tout court allora a morte Alexakis. Ma se li si considera autentici malgrado l'autocompiacimento, allora perché non rivalutare i primi tre dischi degli Everclear?

A voi la scelta; io la mia l'ho già fatta anni fa.

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