Nuvole.

L'11 gennaio del 1999 erano invisibili ma pioveva sulle strade e il vento tagliava i pensieri. Ricordo quel mattino come uno dei più tristi della mia vita.

Impossibile scindere la linea della ragione dal punto in cui tangenzialmente interseca la curva del cuore.

La raccolta in triplo CD "In direzione ostinata e contraria 2" complementare all'omonimo primo volume dello scorso anno ricostruisce in una prospettiva cronologica rigorosa, con una selezione difficile ma perfettamente riuscita l'evoluzione e la produzione artistica del più grande, in assoluto, Cantautore Italiano.

Di Canzone, pur d'Autore, si può dunque parlare, con una precisazione: sono davvero pochissimi gli esempi, a livello mondiale, di Poesia applicata alla Musica, cioè di versi che una volta trascritti sulla carta vivono di propria poetica vita, come se fossero stati scritti per quello scopo.

Fabrizio De Andrè è uno di questi rari esempi.

Le composizioni tratte dai primi albums omonimi aprono il primo disco: "La stagione del tuo amore" (dal "Vol. I"), "Nell'acqua della chiara fontana" (dal "Vol. III"), "S'i' fosse foco" (sonetto di Cecco Angiolieri, dal "Vol. III"), alcuni singoli ("Fila la lana", "Il testamento", "Delitto di paese"). Si tratta delle Canzoni intese nel senso più tradizionale, intrise di poesia e al tempo stesso ironiche e malinconiche, con la stessa grandezza della vita.

"Cantico dei drogati", "Leggenda di Natale" e "Ballata degli impiccati" sono estratti dell'album "Tutti morimmo a stento" (1968), primo (anche se in nuce) dei concept-albums. Ciò che caratterizza queste canzoni sono arrangiamenti più articolati e complessi sotto il profilo musicale, forse una svolta nella forma musicale di un teorico "secondo periodo" creativo di De André. Gli arrangiamenti più ricchi e orchestrali, più ampi e sinfonici conferiscono quasi una specie di solennità gloriosa e drammatica ai temi. Merita una menzione la perla indescrivibile, dantesca, biblica che apriva quell'album: "Cantico dei drogati": impossibile non restare letteralmente paralizzati dalla sua struggente e crudele bellezza, e dalla sua dolcezza disperante e dolce disperazione:

"Chi mi riparlerà

di domani luminosi

dove i muti canteranno

e taceranno i noiosi.

Quando riascolterò

il vento tra le foglie

sussurrare i silenzi

che la sera raccoglie. "

"La Buona Novella" (1970), secondo concept-album viene qui rappresentata dalla sequenza "Laudate Dominum", "L'infanzia di Maria", "Il ritorno di Giuseppe", "Maria nella bottega di un falegname", "Tre madri", "Laudate Hominem" (il momento culminante, "Il testamento di Tito", compare nella raccolta precedente e in altre raccolte e live-albums): si tratta di una rappresentazione per quadri della Storia di Gesù, riletta attraverso i Vangeli apocrifi, rivisitazione (apparentemente sarcastica) di temi sacri alla luce della contemporaneità, ma al tempo stesso incredibile ricostruzione teatrale veridica come poche opere hanno saputo esserlo rispetto agli stessi temi, in veste tutt'altro che profana.

Il terzo album concettuale "Non al denaro, non all'amore, né al cielo" (1971) ispirato a Edgard Lee Masters, con le firme di N. Piovani agli arrangiamenti e G. Bentivoglio tra gli altri viene riassunto in tre brani posti in apertura del secondo disco: "Un malato di cuore", "Un medico" e "Un matto (Dietro ogni scemo c'è un villaggio)".

Il quarto ed ultimo dei concepts a tema, "Storia di un impiegato", vede ancora N. Piovani all'arrangiamento e alla scrittura dei brani oltre agli altri collaboratori e viene rappresentato dal segmento "Al ballo mascherato", "Canzone del padre", "Nella mia ora di libertà". Sul medesimo disco brillano la rilettura di "Suzanne", di L. Cohen e "Via della Povertà" di B. Dylan.

Chiudono il secondo atto sei canzoni da "Rimini" (1978), immaginifico, fiabesco e precursore: il brano che dà il titolo all'album è un viaggio temporale di tipo parabolico, che racchiudendo il respiro della storia permette di meglio capire per fare chiarezza, o capire meglio la propria confusione, su una persona amata, un'amore perduto, un frammento della vita…

"Lei dice bruciato in piazza

dalla Santa Inquisizione

forse perduto a Cuba

nella rivoluzione

o nel porto di New York

nella caccia alle streghe

oppure in nessun posto

ma nessuno le crede"

L'intrigante, tortuoso e inconoscibile Femminile, che da sempre i Poeti hanno cantato, in quanto per legge umana e divina da sempre suscita l'Amore dei poeti, e l'amore nei Poeti…

"Teresa parla poco

ha labbra screpolate

mi indica un amore perso

a Rimini d'estate. "

Il terzo capitolo racconta il tratto di strada tra gli anni Ottanta e la metà dei Novanta, dall'album omonimo "Fabrizio de André" (ora ri-denominato "L'Indiano", per via della copertina), del 1981, il più "rock/folk" a livello di arrangiamenti, anche se limitatamente a singoli episodi, aspetti e profili, ma è un rock "radicale", quasi "ancestrale": ciò si può sentire in "Franziska", e soprattutto "Quello che non ho", essendo "Ave Maria" un canto tradizionale sardo rielaborato da un adattamento di A. Puddu.

L'approdo della metà degli anni ottanta è agli "album mediterranei": i due capolavori "Creuza de mä", del 1984 (praticamente concepito e scritto per intero in stretta collaborazione con M. Pagani) e "Le nuvole", del 1990.

Il primo verrà menzionato da D. Byrne come "uno dei dieci albums da salvare degli anni ottanta": ritmato, nitido e atmosferico, si colloca ai vertici dell'intera carriera per il "valore aggiunto" di recupero delle tradizioni linguistiche del Genovese, lingua (e non semplice "dialetto"), un lavoro certosino sia sul piano linguistico che musicale che nobilita la "canzone popolare", cioè quella scritta da tutti noi, inconsapevolmente, trasformandola in Canzone d'Autore. Tutti i brani qui riportati ("Sinàn Capudàn Pascià", "D'ä mê riva", "'Â Pittima" "Jamin-à") riflettono questo significato, e il lavoro successivo con i Tazenda di A. Parodi, in questo caso svolto sul Sardo, antica e nobile Lingua, si colloca in continuità perfetta con questa fase creativa.

Il secondo, del 1990 è parte una conclusione di quella fase e parte l'apertura di una nuova fase: dalle due voci narranti nella recitazione poetica che dà il titolo a quell'album, sullo sfondo di una musica quasi epica, si passa a "Ottocento", stile "opera buffa", in cui l'Autore sembra tornare all'ironia a tratti surreale dei primordi, di quelle "Nuvole Barocche" 45 giri di debutto pubblicato dalla RCA (1955). Il lato linguistico è documentato da "Monti di Mola" e "Mégu Megùn", mentre "La nova gelosia", scoperta anni prima grazie a un'interpretazione di R. Murolo è di autore anonimo. Lirico, disilluso e sospeso (tra sogno infantile e disincanto adulto) "Le nuvole" è opera più difficile e sfuggente da definire rispetto alle precedenti altre.

Le quattro canzoni tratte da "Anime Salve", ("Dolcenera", "Le acciughe fanno il pallone", "'Â Cúmba", "Disamistade") formano il segmento conclusivo della collezione. L'ultima Opera, del 1996, densa, letteraria e corposa, si chiudeva con la "Smisurata Preghiera" da cui il verso che dà il titolo a queste due raccolte è stato tratto. L'esempio in uno dei suoi gioielli: "Dolcenera", personificazione dell'acqua e stratificazione finissima di metafore ardite e giochi linguistici virtuosi, attraverso il succedersi delle immagini che si snodano davanti agli occhi chiusi di chi ascolta, narra di un amore impossibile, ma accaduto

"come fa questo amore che dall'ansia di perdersi ha avuto in un giorno la certezza di aversi"

una passione che ha la stessa prepotente e selvaggia irruenza dell'acqua, ma che al tempo stesso sinuosamente si infila negli anfratti del più intimo dei sogni fino a vestirne l'ineffabile sensualità, e l'eros culminante nella successione delle immagini

"e il lenzuolo si gonfia sul cavo dell'onda e la lotta si fa scivolosa e profonda"

Svestiti gli abiti letterari della metafora, e dolorosamente rientrata nelle vesti di una fragile protagonista di quella umanità ritratta, si allontana dalla scena, scivolando via e scomparendo tra la folla…

"nel suo tram scollegato da ogni distanza nel bel mezzo del tempo che adesso le avanza"

Interamente scritto con I. Fossati "Anime Salve" forse è qualcosa in cui Fabrizio De Andrè, pur dimostrando che ancora molto avrebbe potuto dire, narrare, scrivere di quella varia umanità che tra i versi delle sue poesie e gli arpeggi della sua chitarra acustica sfilava, pur avendo ampiamente dimostrato che la maturità artistica era già consolidata quasi dalle origini, è riuscito ad andare oltre.

Oltre il limite della Canzone, oltre la concezione stessa della Musica nella sua forma di "Canzone Popolare" o "Canzone d'Autore". L'affermazione che nella Canzone, considerata da sempre (in attesa di una storicizzazione) una forma "semplice, pur nobile" ma comunque "inferiore" a certa Musica (classica, sinfonica, sacra, etc) in realtà si dispiega il più alto talento letterario nella forma della Poesia, tale da porre una necessità quasi urgente di rivedere parametri e metri di giudizio.

Non ce ne sarà (forse) bisogno, per noi che abbiamo ancora vivide queste immagini, vibrante l'anima delle emozioni che hanno suscitato queste canzoni, così intrise di letteratura non "citata" ma scritta di prima mano, da esserne già parte prima che i tempi storici vi si adeguino.

Le parole, invece, di questo scritto, sono (fortunatamente) ben poca cosa rispetto al genio assoluto di Fabrizio de André.

"Le passanti", manifesto poetico della sua personalità artistica, ha uno dei testi che in assoluto più mi hanno (personalmente) forse di più commosso. Grazie.

"Io dedico questa canzone

ad ogni donna pensata come amore

in un attimo di libertà"

"Alla compagna di viaggio

i suoi occhi il più bel paesaggio

fan sembrare più corto il cammino

e magari sei l'unico a capirla

e la fai scendere senza seguirla

senza averle sfiorato la mano. "

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