Mi piace ricordarlo così: come un cantante che fa rivivere il menestrello medioevale, il troubador provenzale. Un menestrello con lo sguardo (e con la poetica) triste. Il Volume 1 è l'inizio di tutto, l'inizio del viaggio dentro l'animo umano, dentro personaggi nei quali possiamo identificarci o che possono commuoverci. È il 1967 quando, appunto, esce il primo disco ufficiale del più grande cantautore italiano che, sia ben chiaro, non è secondo nè paragonabile a nessuno: questo è un principio di fede incontrovertibile.
Il disco inizia nella maniera più emozionale e struggente possibile, "Preghiera in Gennaio", dedicata a Luigi Tenco. La poeticità in questo primo brano è altissima, e si assiste a una descrizione del Paradiso "la dove in pieno giorno risplendono le stelle", solo questa canzone vale l'acquisto del disco, ma, fortunatamente, i capolavori non finiscono qui. "Marcia nuziale" sembra avere lo stesso stile triste e maliconico della precendente canzone; qui si parla di un figlio che assiste alle nozze dei genitori, "dopo un fidanzamento durato tanti anni da chiamarlo ormai d'argento". La malinconia non è affatto di casa nel terzo brano che si chiama "Spiritual", un vero e proprio esperimento spiritual (davvero ben riuscito) che De Andrè purtroppo non ripeterà in futuro; brano movimentato che si contrappone ai primi due, davvero molto interessante. "Si chiamava Gesù" ci riporta in territori malinconici con un introdizione dove le chitarre si abbracciano e creano un'atmosfera da brividi, il tema della canzone è appunto Gesù visto nella sofferenza della morte "e morì come tutti si muore, come tutti cambiando colore", morte che non è servita a niente perchè il male in terra c'è ancora e sempre ci sarà: l'immagine di Gesù "che sbiancò come un giglio" è da pelle d'oca. È il turno della "Canzone di Barbara", canzone brevissima ma che lascia comunque un segno nell'ascoltatore; Barbara "gioca all'amore scherzando con gli occhi ed il cuore", anche qui la malinconia c'è, si avverte, e avvolge l'ascoltatore. "Via del campo" è un capolavoro della canzone italiana, una stradina di Genova dove è possibile incontrare gli emarginati, gli ultimi, gli scarti della società: bambine con labbra color rugìada, puttane, uomini soli... De Andrè descrive i personaggi di questa storia dando loro una dignità che commuove e, alla fine di questa opera d'arte Fabrizio ricorda "dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior"... non serve altro per descrivere questa stupenda opera. Con un po' di lacrime di commozione andiamo avanti e incontriamo "La stagione del tuo amore" un pezzo dolcissimo, come poche canzoni del repertorio di Fabrizio, dolcezza che fa da contrappeso alla malinconia dei precendenti brani. L'assolo di tromba è fantastico, diretto, emozionale e chiude alla grande questa fantastica canzone. "Bocca di rosa" è una delle canzoni di famose di De Andrè, il tema è una prostituta che arriva in un paesino e sconvolge la vita degli uomini, tutti innamorati di lei, che rendono le loro mogli cornute; la canzone è composta da varie strofe ma non ha un ritornello, il ritornello è strumentale ed è "recitato" da una banda di paese. "Bocca di rosa" è dunque "il bene effimero della bellezza" che il parroco vuole con sè in processione, contrapponendo "l'amore sacro con l'amore profano". "La Morte", sebbene abbia un titolo macabro, è un canzone che definire medioevale non è un'eresia; la morte è amica di chi ha vissuto solo, di chi è stato povero, straccione; mentre sarà nemica di chi nella vita ha a sua volta ucciso e non servirà "colpirla nel cuore perchè la morte mai non muore". L'ultimo pezzo di questo disco avvolgente è "Carlo Martello ritorna dalla Battaglia di Poitiers", anche questa sembra una canzone di un menestrello con canzoni e uso di termini medioevali, davvero un brano insolito ma comunque efficace, un modo strano di chiudere un disco...
Non c'è quindi da stupirsi se Fabrizio De Andrè utilizza schemi e musiche che all'epoca nessuno usava; è pur vero che dietro a Fabrizio esistono una solida cultura, delle buone letture, un dialogo coi poeti del passato. La grandissima capacità di Fabrizio è, oltre a una bravura tecnica, oltre al saper scrivere, la capacità di descrivere gli eventi vissuti e di tramutarli in favole, così facendo questi eventi non sono più eventi ma storie eterne, che dureranno per sempre. In fondo ad ogni canzone del De Andrè c'è sempre l'uomo. L'uomo con le sue miserie e le sue gioie, le sue poche vittorie e le sue molte sconfitte e, soprattutto, col suo inesauribile bisogno di amore e di speranza. A Fabrizio De Andrè va il merito di aver saputo raccontare tutto ciò.
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