C'era una volta un ragazzo di origine scozzese con la voce sporcata dalle tante sigarette e dal whiskey, il suo nome era Rod Stewart. Aveva militato nel gruppo di Jeff Beck, uno che con la chitarra ci sapeva fare, tanto da relegare al ruolo di bassista colui che sarebbe diventato leggenda in un gruppo chiamato Rolling Stones; il suo nome era Ronnie Wood. C'era poi un cantante e chitarrista chiamato Steve Marriott che aveva lasciato uno dei grandi gruppi degli anni 60 ovvero gli Small Faces e aveva formato un gruppo chiamato Humble Pie. I restanti Small Faces, Ronnie Lane bassista e cantante, Ian McLagan alle tastiere e il futuro Who Kenney Jones, si unirono Rod e Ronnie e tolsero lo "Small", chiamandosi semplicemente Faces.

A mio parere i Faces rappresentano uno dei gruppi più sottovalutati del rock inglese, vuoi per la sfavillante carriera di Stewart e Wood all'indomani del loro scioglimento, vuoi perché in quegli anni vi erano gruppi veramente strepitosi che ne offuscarono le grandi capacità. Il loro sound ha invece influenzato un grande gruppo del passato più o meno recente come i Black Crowes e rimane a tutti gli effetti personale e riconoscibile.

Il loro album che preferisco è il terzo "A Nod Is As Good As A Wink... "che riassume tutte le caratteristiche del gruppo: la voce roca e possente di Stewart, la chitarra ruspante e blueseggiante di Wood, una sezione ritmica precisa e quadrata, e le tastiere che mitigano le asprezze di base con grandi iniezioni di pianoforte, piano elettrico e una spruzzatina di Hammond qua e la, e da non sottovalutare l'alternanza delle voci tra il leader e il bassista Ronnie Lane con una voce molto più leggera e lineare ma che si sposa ugualmente bene con la musica proposta. L'album si colloca tra il secondo "Long Player" e il successo stratosferico della ballad acustica solista di Stewart "Maggie May" che contribuì ad accentuare le attenzioni sul gruppo trainato da questa esplosione di successo del cantante.

Le perle indiscusse dell'album sono l'iniziale "Miss Judy's Farm" con il suo incedere rock'n'roll, senza un vero ritornello ma con un groove irresistibile, come il ritmato hit-single "Stay With Me", forse la migliore del disco, la ballad "Loves lives Here" che fa intravedere il futuro solista di Stewart. C'è spazio come dicevo per la voce di Lane nell'ottima ballad "Debris", nell'allegra "Debirs", con tastiere divise tra piano honky tonk e Hammond e la quasi country "Last Orders Please". A chiudere alla grande il disco un trittico rock blues/rock n roll, formato dalla cover "Memphis" di Chuck Berry, la secca e hard rock "Too Bad" con riff taglienti e voce di Stewart in grande spolvero e la conclusiva "That's all you need" con un Ron Wood che fa grandi cose alla slide soprattutto nell'intermezzo solista centrale.

Dopo questo album, però, la carriera pop di Rod Stewart  prende sempre più il sopravvento a discapito di quella del gruppo fa si che dopo solo 4 dischi si sciolga e porti Ron Wood a sostituire il dimissionario Mick Taylor negli Stones, consegnadolo alla leggenda e facendo diventare il cantante con la passione per le belle donne e il whiskey il cantante di fama mondiale che tutti oggi conosciamo, forse discutibile per le scelte stilistiche, ma una voce assolutamente fondamentale nel panorama rock anni 70, che ha trovato il suo terreno migliore nelle scorribande blues/hard dei Faces.

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