All’indomani dell’uscita del celebrato “Liege & Lief”, vera e propria pietra d’angolo di tutto il “folk revival” inglese anni ’70, la premiata ditta “Fairport Convention” deve registrare due importanti defezioni, quella di Ashley Hutchings, bassista ma in primis vero e proprio “ideologo”della band, e soprattutto quella di Sandy Denny, forse la più grande cantante inglese del decennio. Il primo continuerà nella propria infaticabile opera di ricerca e riscoperta filologica delle radici della musica tradizionale inglese, dapprima fondando gli Steeleye Span, in seguito dando vita al progetto “Albion Country Band”.La seconda, desiderosa di dar maggior spazio alle proprie canzoni, intraprenderà la carriera solista; tornerà nella band cinque anni dopo per una breve e controversa réunion, poco prima della prematura e tragica scomparsa.
Date tali premesse, ci si potrebbe aspettare un inevitabile sbandamento dell’ensemble, orfano di due personalità di tale calibro; nei fatti invece i membri rimanenti smentiscono tutto e tutti, dando alle stampe questo “Full House” la cui musica si conferma qualitativamente su livelli vertiginosi, non avendo nulla da invidiare all’illustre predecessore. Se al basso viene assoldato l’ottimo Dave Pegg (il quale negli anni ottanta farà anche parte dei Jethro Tull, e che, sopravvissuto a tre decenni di travagli e continui cambi di formazione, rimane ancora ai giorni nostri il vero “faro” della band), tocca al chitarrista Richard Thompson e al violinista Dave Swarbrick accollarsi, oltre che il songwriting, le parti vocali. Ovviamente non reggono il confronto con la sontuosa vocalità della Denny, ma non sfigurano di certo, completandosi a vicenda ed amalgamandosi alla perfezione.
Ne è la controprova il trascinante brano d’apertura, “Walk Awhile”, ancora oggi efficace cavallo di battaglia nelle esibizioni dal vivo, un brioso ed incalzante mid-tempo con il funambolico violino di Swarbrick in gran spolvero. Quest’ultimo in grande evidenza anche nella successiva ed insolitamente “dura” “Doctor of Physick”, azzarderei dire una sorta di “hard-folk”, caratterizzato dai toni particolarmente enfatici del cantato. La coppia di indiavolati strumentali “Dirty Linen” e “Flatback Carper” continuano la consuetudine dei “traditional arranged” e proseguono ed ampliano il discorso di riscoperta di danze della tradizione popolare inglese già intrapreso in "Liege & Lief"; l’amalgama e l’affiatamento strumentale raggiungono qui livelli a dir poco prodigiosi, con i cinque musicisti intenti a inseguirsi, intrecciarsi, alternarsi, gareggiare in virtuosismi, a tratti sembrano addirittura sfidarsi a duello, a tutto vantaggio goduria uditiva del’ascoltatore. La lunga e dilatata ballata (oltre nove minuti) “Sloth”, dai tratti ipnotici e quasi indolenti, traccia invece sentieri finora quasi inediti ai Fairport, rievocando atmosfere ben poco “british” bensì dal vago sapore “west-coast” americano , facendo riaffiorare alla mente qualcosina degli Eagles dei giorni migliori; inutile dire che diverrà subito anch’essa un classico cavallo di battaglia dal vivo. “Sir Patrick Spens” , altro “tradizionale arrangiato”, una suggestiva melodia dal sapore medievale, di quelle melodie senza tempo, cantata, o meglio, “raccontata” con azzeccato piglio trobadorico, ha il suo punto di forza nell’elegante ed efficace ricamo della chitarra elettrica di Thompson, la stessa chitarra elettrica che tanto (ingiustamente) aveva fatto inorridire i cosiddetti “puristi” della scena folk. “Now Be Thankful”, evocativa ballata corale, chiude degnamente un album memorabile, sicuramente da annoverare tra i grandi classici del genere. Sicuramente da menzionare la recente reissue (del 2001) in versione rimasterizzata, contenente tre bonus tracks tra cui val la pena citare una ottima “Bonny Bounce of Roses”, fine e suggestiva ballata ed una “Now Be Thankful” in versione “new stereo mix”.
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