Arduo stabilire se siano stati loro ad inventare il british folk rock, ma senz'altro sono stati tra i più grandi esponenti di quel genere. Sto parlando dei Fairport Convention, ossia cinque giovanotti e una fanciulla, che nel 1967, spinti dal comune amore per Bob Dylan e Byrds, come pure per folksinger del calibro di Richard Farina, Tim Buckley, Leonard Cohen, Joni Mitchell e tanti altri del folk rock americano, decisero di iniziare a suonare cover e alcuni (pochini in realtà) originali. Tutto qui? Una qualsiasi cover band? No, non esattamente, perchè questi ragazzotti di età compresa tra i 17 e i 24 anni, hanno l'insano e per noi godibilissmo vizio di prendere i pezzi dei loro idoli e scomporli e ricomporli con arrangiamenti tutt'altro che banali. Intendiamoci, non c'è niente di virtuosistico in loro, solo un pazzo e adolescenziale amore di suonare, e un grandissimo feeling musicale, che con soluzioni a volte semplici a volte meno li porta a creare dei gioiellini...

Ad ogni modo, dopo l'album di esordio, nel 1968 i Fairport perdono subito Judy Dyble, loro prima voce femminile (non è chiaro se fu lei ad andarsene o venne allontanata; comunque finì per un certo tempo nell'anticamera della corte del Re Cremisi...), ed entra in formazione Sandy Denny, la più bella, leggendaria e indimenticabile voce femminile del folk inglese. Entrati subito in studio, i nostri registrano questo secondo album, "What We Did On Our Holidays". Questa volta il gruppo decide di spingersi oltre alle cover, e tutti i membri, con l'eccezione del batterista Martin Lamble, da bravi fratellini partecipano alla composizione dei pezzi.

Va subito detto che già in questo album la parte del leone (anzi, della leonessa) la fa l'appena arrivata Sandy la quale, pur avendo gusti musicali simili a quelli dei compagni, porta in dote un'abbondante dose di musica tradizionale albionica, come si capisce dal pezzo che apre le danze, "Fotheringay", quintessenza folk dell'opera. All'opposto troviamo la voce maschile, Ian Mc Donald poi Matthews, vero e proprio alfiere dell'ala californiana dei Fairport come si comprende ascoltando "Book Song" (il qual Matthews non a caso dopo la pubblicazione del disco, di fronte alla piega tradizionalista presa dagli amici, getterà la spugna ed emigrerà negli Usa). In mezzo troviamo la prima chitarra, Richard Thompson, dotato di uno stile strumentale unico e personale, acido e allo stesso tempo dolce e disadorno, che compone uno dei pezzi più famosi dell'intero catalogo Fairport, ossia quella "Meet on The Ledge" che ancora oggi viene suonata nell'annuale festival di Copredy. Si tratta di un pezzo di pochi accordi, che tratta di morte e lontananza dai propri cari, e saperlo che lo scrive un diciannovenne non può non lasciarci, come dire... di stucco. E lo restiamo ancora di più, se pensiamo che di lì a pochi mesi il destino baro colpirà parecchio duro il gruppo e in particolare Thompson, con un incidente stradale in cui perderanno la vita Lamble e la ragazza di Richard... infine una curiosità: il bassista Ashley "Tiger" Hutchings compone l'unico pezzo blues, ma di lì a breve, per il famoso toerema del contrappasso, diventerà il più intrasigente e integralista tutore della tradizione british folk nella formazione.

Non mancano comunque le cover di Bob Dylan e di Joni Mitchell, entrambe rese in maniera magistrale e molto originale, come pure i traditionals britannici: in un certo senso, rispecchiano la natura transitoria dell'album, con un'anima diciamo americana contrapposta a una più tradizionale che di lì a breve prenderà il sopravvento, senza però che i due elementi stridano, ma anzi conferendo all'opera un tocco di eclettismo.

In conclusione, "What We Did on Our Holidays" a quasi quaranta (eh già... il tempo passa come niente...) anni di distanza suona ancora oggi molto fresco e godibile, forse anche perchè privo dell'ambizione e maggiore ortodossia dei dischi successivi, comunque eccellenti, che culmineranno in quel capolavoro che è "Liege and Lief". Forse questa dolce ingenuità che aleggia nel disco ce lo fa apparire proprio come il resoconto di una vacanza estiva trascorsa da degli amici a suonare allegramente, ancora lontani dai drammi della vita adulta dietro l'angolo. Ed è dura non provare un pò di commozione con il pezzo che chiude, anche idealmente, l'opera, "End of A Holiday", un malinconico arpeggio di chitarra senza voce, composto dal più giovane della compagnia, Simon Nicol.

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