Me ne stavo lì, pronto ad aspettare che i trailer in sequenza finissero, per potermi così immergere completamente nell’ultima opera di Jim Sheridan intitolata "Brothers": un gran bel film drammatico, lineare e simmetrico per struttura, capace di trattare con profondità i risvolti negativi della guerra in Medio Oriente per i reduci che tornano in patria. La sala dopo gli omini blu di "Avatar" improvvisamente si riempie per 2 minuti di colori, risate e promesse dette ad alta voce “questo me lo devo proprio andare a vedere”, e così mi rendo conto che nell’ultimo anno al cinema avrò visto decine di lavori drammatici e, sì e no, un paio di commedie. Ed è così, per caso, che mi viene voglia di cominciare il 2010 con il casinaro, divertente e ritmato "Soul Kitchen": ultima fatica di Fatih Akin distante anni luce dall’atmosfera de “La Sposa Turca“ che avevo visto e apprezzato al suo tempo.
Quasi sempre le commedie si basano sull’estremizzazione dei personaggi e la conseguente ilarità delle situazioni grottesche/improbabili nelle quali i protagonisti si vanno a cacciare. Soul Kitchen non esula da questa regola. Il cast è formato da una serie di palesi caricature. Zinos è un casinista, energico ed entusiasta giovane immigrato greco di seconda generazione: orgoglioso proprietario di un becero locale puzzolente e marcio come la raffinatissima clientela portuale che, in totale simbiosi con l’arredamento, si delizia di prelibatezze surgelate alla panna. Attorno a questa divertente macchietta girano diversi satelliti. Nadine è la bella e ricca fidanzata che per motivi di lavoro se ne va in Cina a fare la reporter, Illias è l’inaffidabile fratello ex galeotto malato di gioco, ed a completare il quadro ci pensa un autoritario, orgoglioso e spassoso chef non molto avezzo alla saggia arte della diplomazia.
E’ una sceneggiatura divertente, volutamente esagerata nella quale quindi non ci si deve porre troppe razionali domande sulla realisticità dell’intreccio. Tali interrogativi rimarrebbero infatti tutti rigorosamente senza risposta perché lo si capisce fin da subito che è una fiaba. Ed una fiaba deve essere tale nel senso di irrealizzabile al di fuori di un libro/schermo, deve avere il cattivo di turno (l’ex compagno di scuola/agente immobiliare avido di terreni sui quali poter costruire ed arrichirsi), i momenti di sconforto (quelli con la fidanzata e la guardia di finanza/ufficio di igiene) ed è ovvio debba concludersi non solo bene, ma con i fuochi di artificio. Tutti i personaggi infatti crescono grazie ai loro errori, in meglio, fanno squadra prendendo coscienza della negativa esperienza vissuta per rialzarsi inaspettatamente fino al roccambolesco finale: forzato più o meno come un jumper in corsa da metà campo fatto da Shaquille O‘Neal allo scadere. Ma va bene così!
Quello che conta davvero è come ci venga raccontato questo stereotipato e prevedibile iter. Il motivo per il quale scrivo è che il taglio del regista lo trovo riuscito. Prima di tutto inserisce come attore non protagonista il mal di schiena del protagonista: vera fonte delle gag più esilaranti dell’intera pellicola ed insolito e piacevole collante tra il traballante presente e l’incerto futuro roseo di Zinos. Molto ritmo, con un susseguirsi frenetico di brevi ed appaganti scene che ci fotografano le vecchie zone residenziali di una città portuale come Amburgo parlandoci così, in maniera indiretta, dello scempio e del senso della distruzione di quei quartieri caratteristici in favore di mega costruzioni sempre più costose ed esagerate. L’ambientazione desolante scelta per la pellicola, molto ben descritta dalla fotografia, è in accecante e riuscito contrasto con la storia. Lodevole la colonna sonora solare etnica, soul/rock dalla forza dirompente che non lascia mai la pellicola: nemmeno nei pochi momenti riflessivi.
Il cast scelto nel quale spiccano Adams Boudoukos ed il cuoco Birol Unel, è più che appropriato per riuscire a rendere nel modo migliore possibile questa intricata e piacevole commedia che vi allieterà per un’ora e mezza facendovi ridere di gusto a più riprese. Tanto basta per invitarvi a vedere "Soul Kitchen".
ilfreddo
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