Tristo il paese che ha bisogno di eroi, diceva il saggio. Parafrasandolo, potremmo dire che è tristo il cinema che ha bisogno di eroi.
L'eroe del cinema italiano dell'ultimo secolo è stato, stando alle referenze dei più, Federico Fellini da Rimini, sognatore e cineasta amato un po' ovunque, specie oltreoceano, fino a meritare Oscar a profusione, oltre che il conio di un apposito aggettivo: "fellinesque", a simboleggiare un'estetica rapsodica, fuggevole, autocompiaciuta, talvolta grottesque.
A me Fellini non dispiace, ma trovo talvolta il suo cinema troppo artificioso, e, soprattutto, troppo autoreferenziale, una continua rappresentazione dell'ego ipertrofico del nostro, attraverso i vari personaggi che compongono la sua personale commedia.
Personalmente sono affezionato ad un cinema meno artistico, ma maggiormente didascalico, se mi si passa il concetto, dove contano l'intreccio, la recitazione, il messaggio: ed allora del cinema italiano del ‘900 salvo soprattutto De Sica, Germi, Monicelli, Risi, Salce e Comencini, con qualche riserva per Antonioni e molte per lo stesso Fellini. Poi ci sarebbe un discorso a parte per Ferreri. In ogni caso, ed a scanso di polemiche, nascesse oggi un Fellini ci sarebbe da baciarsi i gomiti, come si dice dalle mie parti.
Tutta quest'introduzione per un sintetico commento all'acclamatissimo 'Amarcord', film parzialmente autobiografico, premiato con l'Oscar ed entrato nell'immaginario collettivo grazie a scene come il passaggio notturno del Rex, il "voglio una donna" di Ingrassia, la parata mussoliniana, la sensualità della Gradisca e delle quantomeno pettoruta tabaccaia. Volendo, è un film che passa alla piccola storia del cinema italiano per il significativo esordio del buon Alvaro Vitali, ma questa, ça va sans dire, è proprio un'altra storia.
E' il film di Fellini che mi piace di più, proprio perché le scene, e l'aspetto onirico che tanto pervade i suoi lungometraggi, sono qui funzionali ad un racconto vero e proprio, ad una riflessione sul tempo che fugge, sul passato di un individuo e, se si vuole, sul passato e sulla piccola mitologia novecentesca del nostro paese.
Ciò che non gradisco di 'Amarcord' è forse il bozzetto compiaciuto, affettuoso ed indulgente verso il nostro Paese, quasi ad accettarne supinamente i limiti, l'opportunismo, l'attitudine a piegarsi per non spezzarsi, il servilismo verso il potente di turno, la prostituzione intellettuale, prima ancora che fisica (forse il male minore). Non c'è in lui quel distacco critico, quella ferocia che invece traspare nei meno acclamati Risi e Monicelli, come pure in certo cinema di Salce.
Sospendo ogni giudizio, e conferisco un 3/5 di (relativa) stima.
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