I tedeschi, specie quelli più ricchi, hanno sempre avuto il pallino del turismo, dovuto ad una fame di conoscenza di altre terre a noi sconosciuta, che a volte li ha portati anche a strafare, causando qualche incidentuccio come invasioni, annessioni e guerricciole varie. Ma di regola le loro orde si muovono pacifiche verso le mete di volta in volta più in voga. Nella prima metà dell'Ottocento il "must" era il viaggio in Italia: nutrirsi di arte antica, di rovine e classicismo nella terra "dove fioriscono i limoni" era considerato fondamentale per la formazione culturale e spirituale di ogni giovane rispettabile. Ma stava emergendo anche un "cult" di segno opposto: il viaggio alla ricerca dei miti nordici, delle magie di gnomi ed elfi, del misterioso popolo dei Celti, di cui si sapeva ancora meno di ora.
Felix Mendelssohn era tedesco e soprattutto ricco sfondato, in quanto rampollo di una famiglia di banchieri ebrei, quindi nella sua breve vita (1809-1847) ebbe la possibilità di viaggiare molto, per sua e per nostra fortuna. Anche nostra, perché alcune delle sue più nitide impressioni di viaggio sono rimaste fissate per sempre nella sua musica pulita, equilibrata e lineare, che dotti e insigni musicologi indicano come l'anello di congiunzione tra classicismo e romanticismo, proprio per la coesistenza di una grazia e leggerezza ancora classicheggianti con i primi segni della profonda sensibilità romantica. Personalmente il Mendelssohn che preferisco è quello un po' più "turbato" e aperto verso le suggestioni romantiche. La perfezione stilistica di certe sue opere giovanili (mi vengono in mente le Sinfonie per archi) mi pare un po' accademica e fine a sé stessa, quasi un saggio di bravura di un musicista che sa di essere estremamente dotato. La sua brillante inventiva melodica diventa molto più coinvolgente quando è messa al servizio di sentimenti e impressioni un po' più forti, ed è senz'altro il caso di queste due grandissime sinfonie, pur nella loro diversità.
Nella Sinfonia n° 3 in la minore Op. 56, detta "Scozzese", più volte rielaborata dopo il ritorno dell'autore dal suo viaggio in Scozia, l'imperturbabile serenità di Mendelssohn viene messa a dura prova fin dall'attacco del primo movimento ("Andante con moto - Allegro un poco agitato"), che suggerisce paesaggi nebbiosi e vecchi castelli (pare che proprio di ritorno dalla visita di uno di questi il musicista abbia trovato il bandolo della matassa di tutta la sinfonia). Il malinconico tema principale, esposto in maniera sommessa, acquista gradualmente intensità e moto, fino ad assumere un'agitazione insospettabile all'inizio, intrecciandosi con un altro maestoso motivo. Nel secondo movimento ("Vivace ma non troppo") riaffiora l'incontenibile gioia dell'autore, sotto forma di una vera e propria danza scozzese che senza grandi sforzi di fantasia si potrebbe immaginare suonata da cornamuse; il terzo ("Adagio") è un movimento complesso e sofferto, che come il primo ha una partenza quasi involuta, in sordina, ma le impennate centrali hanno una grande forza drammatica. Senza intervallo (tratto comune all'intera sinfonia) attacca l'ultimo movimento, "Allegro vivacissimo - Allegro maestoso assai", dalla straordinaria ricchezza tematica, che partendo da furibondi intrecci di danze, per mezzo di un agile "ponte" ci prepara al finale, veramente maestoso come si conviene ad una sinfonia monumentale come questa, forse la più estranea al cliché del Mendelssohn sempre "ridente" e un po' "perfettino".
Proprio per questo è la mia preferita, anche se è più popolare la Sinfonia n° 4 in la maggiore Op. 90, nota come "Italiana" e di poco successiva al ritorno dal viaggio nella terra (è bene ricordarlo) dei limoni. Qui le nebbie si sono totalmente dissolte e all'ascoltatore si aprono luminose scene mediterranee di danze all'aperto, di paesaggi ariosi, di una natura carica di colori vivaci. Un festoso brio risuona soprattutto nel primo movimento ("Allegro vivace"), per poi sfumare nella dolcezza serena del successivo "Andante con moto" e riemergere delicatamente frizzante nelle lievi increspature del terzo movimento ("Con moto moderato"). Un brio pronto a riesplodere decisamente nel conclusivo "Saltarello: presto", l'unico movimento in cui l'ispirazione sembra tratta direttamente dal folclore italiano (il suo ritmo frenetico è affine, anche se non uguale, a quello di una tarantella). Ma tutta la sinfonia è illuminata da un'ambientazione "italiana", o come minimo "mediterranea", e la grandezza di Mendelssohn sta nell'averla saputa creare con motivi scaturiti dalla sua fantasia, oltre che dalle sue impressioni di viaggio.
Queste due grandi sinfonie sono disponibili in un gran numero di interpretazioni. Suggerisco, ma solo perché la conosco, quella della London Symphony Orchestra diretta da Claudio Abbado, in cui oltre alla consueta perfezione dell'esecuzione spicca la perfetta naturalezza con cui il suono orchestrale viene adattato ai climi completamente diversi delle due sinfonie.
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