Hai fatto tre album intrisi di basici umori rock'n'roll e blues che giusto i Rolling Stones, il primo s'intitola «Supersnazz» ed è un buon album , dopo viene «Fandango» (ottimo), il terzo della lista – «Teenage Head» – è un capolavoro che levati.

E col senno di poi, molto di poi, tutti a sentenziare che il punk deve tutto o quasi a «Raw Power» e «Teenage Head».

Ovvio che di quei tre album ne hai venduto copie a palate e adesso te ne stai a bordo piscina nella tua villa a San Francisco, vista baia, e ti godi tutti quei bei dollaroni che escono copiosi e fruscianti da sotto ogni materasso e cuscino.

Poi ti svegli e ti ritrovi come sempre a doverti arrabattare per ricomporre i ezzi andati in malora.

Perché sei uno dei Groovies e Roy ti ha mollato sbraitando che non ce la fa più a sopportare la marea di indifferenza che ti circonda.

Perché quando tu, a San Francisco, suoni «Teenage Head», San Francisco è intrippata con Jefferson Airplane e Grateful Dead, e hai voglia ad essere the first and only and greatest rock'n'roll band in San Francisco, cosa vuoi che ne sappiano quegli hippies bacucchi suonatori di bongo di come siano fatte e che odore abbiano le viscere del rock'n'roll.

Fatto sta che, almeno, i pezzi riesci a ricomporli: fuori Roy, dentro Chris.

Chris è un genio.

Ragazzi, ma che ci vuole? Se a fare gli Stones meglio degli Stones non ci avete cavato un ragno dal buco, basta mettersi a fare i Beatles, fidatevi di me.

Detto fatto, i nostri tirano fuori una roba che si chiama «Shake Some Action», uno dei riff di chitarra più clamorosi nella storia del rock tutto – una roba tipo «Marquee Moon» e poco altro, per intenderci – e tutto intorno un album micidiale che, sempre con le radici ben piantate da qualche parte tra Eddie Cochran e Chuck Berry, inquadra nel mirino tanto il famigerato quartiere St. Pauli di Amburgo quanto Liverpool e il Cavern Club, insomma quei Beatles là, quelli che prima di massacrarsi il cervello a furia di pippe mentali e filosofie astruse, massacrano gli strumenti a furia di merseybeat, lo esportano negli Stati uniti e inventano la musica garage.

È il 1976, il passo d'esordio dei Ramones che posizionano ben bene il barilotto di polvere e una miccia lunga lunga, ma lunga per davvero, qualcuno si prende la briga di srotolarla tutta fino all'ultimo millimetro ed è tanto lunga che arriva fino a Londra, il 31 dicembre 1977 Dee Dee inizia a contare one, Johnny tira fuori l'accendino, two, lo passa a Tommy che inizia a sfregarlo, three, e lo gira a Joey, four, e quando la fiamma incontra la miccia esplode tutto.

Ora, tu quella musica l'hai creata dal nulla, quando tu suonavi «Teenage Head» quei teppistelli di Dee Dee e dei suoi fratelli nemmeno avevano l'idea di come si formasse un accordo di la sulla chitarra, e ora su «Shake Some Action» e sui Beatles ci pisciano perché i cessi del CBGB sono troppo anche per loro.

Chris è un genio.

Come sono dei geni i capoccioni della Sire, quelli che convocano i Groovies e gli offrono un posto, mentre in un angolo appartato quei quattro balordi posizionano barilotto e miccia, fregandosene altamente dei Groovies e dei capoccioni che gli passano la paghetta.

Ora, se nel 1976 alla Sire, tanto per dire, ci stanno Dead Boys, Richard Hell coi Voidoids, Ramones, Talking Heads, quando si tratta di puntare su un nome, il buon Seymour su chi punta?

Esatto, su chiunque tranne che sui Groovies.

Che, da parte loro, si concedono un anno sabbatico, sia mai che finiscono nel vortice punk e qualcuno si ricorda di «Teenage Head»?

E siamo al 1978.

I punk hanno frignato, urlato e sbraitato per il volgere di una stagione e subito è finita lì.

I Groovies, invece, sono ancora lì, smaniosi di provarci ancora, «Shake Some Action» è scivolato via nell'indifferenza ma non può piovere per sempre, afferma baldanzoso Chris, le nuove canzoni sono portentose, il 1978 è il nostro anno, me lo sento, e si imbarca insieme agli altri sull'aereo che li porta in Galles, a casa di Dave.

Sia mai cambiare una virgola rispetto a «Shake Some Action».

«Now» è il gemello di «Shake Some Action», per un qualche scherzo della natura è però arrivato con due anni di ritardo, insomma è il minore.

Nel senso, non figurato, che per molti, troppi, è già tanto se hai sullo scaffale una copia di «Shake Some Action», non ci pensare nemmeno a metterci affianco «Now» a prendere la polvere e fare la muffa, con tutto quel ben diddio di post-alt-nu che gira ad ogni angolo.

Si, però …

Però «Now» è l'ennesimo, bellissimo, appassionato e appassionante album dei Groovies e la sola concessione che faccio è che è minore perché ha una «Shake Some Action» in meno del maggiore.

Si, però …

Però quando abbasso la puntina sui primi solchi del lato a mi trafigge la più bella «Feel A Whole Lot Better» che abbia mai ascoltato, ciao ciao pure ai Byrds, ci metto la sul fuoco.

Però quando la puntina sgraffia gli ultimi solchi del lato b ci sta quella «There's A Place» che vorrei non finisse mai e allora quando comincia a sfumare mi metto a girare la manopola del volume, sempre più in alto, come Mike con la grappa.

Byrds e Beatles, e Chris è un genio.

E poi gli Stones.

Uno, poco frequentato, «Blue Turns To Grey»; due, celeberrimo, «Paint It Black», metto la mano sul fuoco per i Byrds, ce la rimetto pure per gli Stones e ciao ciao pure a loro.

E poi, tra fulmicotoniche rivisitazioni di Paul Revere e Cliff Richard, di Buddy Holly e Jerry Lee Lewis, che mi sanno tanto di riportare tutto a casa, quando Roy era ancora della banda, perché «Now» farà sfracelli e Roy avrà quel che è di Roy; in mezzo a tutto ci stanno i brani autografi.

Ci stanno una «Between The Lines», una «Take Me Back» e pure una «Good Laugh Mun» che potrebbero stare in un qualsiasi album maggiore dei Beatles o dei Byrds e tramutarsi in classici jingle jangle e nessuno avrebbe niente da ridire.

Ci stanno una «Yeah My Baby», una «All I Wanted» e una «Don't Put Me On» che sono sfavillante rock'n'roll dalle parti di un Chris Montez qualsiasi.

Tanto che ne sapete voi di chi è Chris Montez, se a quei quattro balordi che pisciavano su «Shake Some Action» non gli avete mai dato una possibilità.

Immensi Groovies.

Che sono Cyril Jordan, Mike Wilhelm e Chris Wilson, voci e chitarre, George Alexander al basso e David Wright alla batteria. E Dave Edmunds che suona il piano e canta, produce e ci mette pure la casa e le vettovaglie.

E comunque sono dei geni, tutti, mica solo Chris.

Chris, forse, lo è solo un po' più degli altri e lo dimostrerà, una volta conclusa la vicenda dei Groovies, trovando meritata fama e gloria nelle fila dei Barracudas.

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