Un film da rivedere - Il delitto Matteotti.

Nel delitto Matteotti, film di Florestano Vancini, non si fa cenno al dramma umano, individuale e familiare della vittima; si osserva con scrupolo lo sfacelo politico e morale di un’intera classe dirigente, il dramma di uno stato. Il delitto Matteotti racconta quindi la storia delle reazioni al delitto e riconosce in esse l’ultimo capitolo della fine dello stato monarchico, statutario e liberale che abdica di fronte al fascismo e, soprattutto, a Benito Mussolini, facendo sprofondare l’Italia nell’incubo dello stato autoritario.

Dà inizio al film una musica che sottolinea l’approssimarsi della resa dei conti, dell’ora risolutiva per i destini di una nazione. Il destino dell’Italia sta bussando alla porta per l’ultima volta.

Nel frattempo, in sovraimpressione sullo schermo, vengono mostrate alcune date che hanno portato all’ascesa dei fascisti…

1918, 1919, 1922. Vengono elencate in un conto alla rovescia una lunga serie di occasioni mancate dall’Italia: per inedia, irrisolutezza, divisioni, scelte sbagliate o non fatte. Da una parte la monarchia si è consegnata al fascismo non firmando lo stato d’assedio e così ha fatto la vecchia classe dirigente accogliendo i picchiatori come effimeri restauratori dell’ordine; dall’altra parte, i socialisti prima e comunisti poi hanno perso le occasioni per fare la loro rivoluzione quando avevano ancora la maggioranza nelle campagne e nelle fabbriche…

… nel 1924 si insedia il nuovo parlamento, che una legge suicida per le opposizioni, eppure da gran parte di loro votata, ha reso per due terzi fascista.

In questo parlamento, Matteotti (Franco Nero), il segretario dei socialisti, chiede la parola. Denuncia l’illegittimità del nuovo parlamento. Denuncia meticolosamente tutti i pestaggi che hanno caratterizzato la sua elezione. Così come ha registrato negli anni gli altri compiuti dalle squadre fasciste. Ne era stato vittima anche lui nel Polesine nel 1921: rapito e picchiato da un gruppo di fascisti.

Durante e dopo l’intervento gli animi sono accesi. Solo Mussolini (Mario Adorf) rimane imperturbabile, ma all’uscita dalla camera chiede:

“Cosa fa Dùmini, cosa fa questa Ceka?! È inammissibile che dopo un discorso del genere quell’uomo possa ancora circolare! Boja de’n Signur!”

Un diluvio di personaggi

Non ci si sofferma solo sulla reazione di Mussolini. Come dicevamo, questo film è un quadro d’insieme: osserviamo la reazione delle opposizioni esterne al fascismo, le reazioni delle anime opposte interne al fascismo, la magistratura integerrima e quella corrotta, i giornalisti succubi e gli altri, gli industriali, la polizia.

Il film ha un ritmo incalzante e dà l’occasione allo spettatore di vedere in scena quei loschi figuri, quegli arrampicatori sociali, quei picchiatori di professione di cui tanto ha letto (o leggerà in seguito) sui libri.

Si va dal figlio del secolo, nullapensante, ma gran burattinaio (Mussolini). Tra le sue fila, da una parte ci sono alcuni fascisti violenti (Marinelli, Finzi e Dùmini) e dall’altra i fascisti di palazzo, intrallazzatori e doppiogiochisti di palazzo (Filippelli e Rocca).

Ci son le altre forze dello stato. La magistratura e i giornalisti che si dividono tra inflessibili e collaboratori.

Ci son gli industriali: Olivetti, Agnelli e gli altri che hanno affidato al governo la responsabilità di liberargli il campo dai vari intralci che bloccavano lo svolgimento dei loro affari.

C’è poi l’insicuro, debole e traditore Vittorio Emanuele III. È emblematica la scena in cui riceve i secessionisti (escluso Gramsci fuoriuscito) mentre si trova in villeggiatura. Umilia le opposizioni, tralasciando le loro rivendicazioni, per mostrargli le imprese di caccia sua e della famiglia. I leader delle opposizioni son già finiti senza saperlo. Così appaiono ancora …nel ’24 l’opposizione ha opposto 21 liste al listone fascista. Nemmeno le posizioni più affini sono riuscite ad accordarsi per una lista unica. Risultato: tante opposizioni, nessuna opposizione.

Tra questi politici superati dalla storia, omuncoli e affaristi si stagliano tre figure nuove e vive. Per primo, l’intransigente, puntuale e agguerrito Matteotti. Per secondo, il già emarginato Don Sturzo che, nascosto a Roma, riceve De Gasperi, il suo successore. Con lui i cattolici erano rientrati nella politica italiana e, anche per questo, egli veniva disprezzato e temuto dall'ex bestemmiatore romagnolo. Infine, Piero Gobetti, l’intellettuale e giornalista torinese che oppone alla forza giovanile fascista, un’altra giovinezza, quella spirituale.

A loro son dedicate le scritte che appaiono in sovraimpressione al termine del film.

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