L’innegabile bellezza dell’incomprensibile sottovalutazione.

In questa frase si potrebbero identificare miriadi di gruppi e miriadi di lavori musicali che, pur riuscendo ad essere magnifici innovatori o incredibili interpreti dei più disparati generi musicali, non sono mai riusciti ad attirare la curiosità e l’ammirazione (a volte morbosa), che molta gente prova per lavori e gruppi a volte molto meritevoli, ma in molti altri casi decisamente mediocri. Diciamo che, molti gruppi (o album), restano nell’oblio dell’impopolarità anche se avrebbero tutte le caratteristiche per meritare il successo (commerciale) ottenuto da chi di meriti a volte non ne ha.

Questa pallosa introduzione per presentarvi un gruppo che ancora mancava tra le numerosissime recensioni di DeBaser: i Flotsam and Jetsam, che incarnano perfettamente quanto detto. Allora... Un po’ di storia...

Il gruppo, tristemente noto soltanto come il gruppo d’esordio di tale Jason Newsted (per i pochissimi che non lo sapessero è l’ex bassista dei Metallica), nasce a Scotsdale in Arizona, per mano del sopraccitato, e al tempo sconosciuto, bassista, nel lontano 1982 e si fa subito notare con la pubblicazione di un paio di eccellenti singoli speed-metal, tra qui la mitica “MetalShock” (da cui prenderà il nome una nota rivista italiana) e con la partecipazione alla settima edizione della compilation Metal Massacre (che, grazie al mitico produttore Brian Slagel, aveva già lanciato gruppi come Metallica, Armored Saint, Slayer etc...).

Il loro suono, al tempo, si dimostra tanto innovativo quanto marcatamente ancorato ad influenze “priestaiole” e “motorheadiane” ” di settantina memoria (con un occhio di riguardo per il nuovo movimento Thrash made in Bay Area, che in quegli anni stava nascendo), e mette in risalto una velocità e una razionale e controllata aggressività sonora, tipica di artisti ben più navigati e che dimostra una maturità ed una intelligenza inaspettate. Nell’estate del 1986 la svolta... Mentre il mondo della musica hard’n’heavy piange l’improvvisa e tragica morte di Cliff Burton, i Flotsam and Jetsam (con alla guida quello che diventerà lo scomodo sostituto del povero bassista dei Metallica) pubblicano il loro debutto su disco con la produzione dell’inossidabile e onnipresente Brian Slagel e della sua Metal Blade Records: “Doomsday for the Deceiver”.

Personalmente considero l’album un piccolo gioiello della musica Speed-Thrash degli anni ottanta e sicuramente uno dei 10 album più importanti e rappresentativi della scena Thrash Metal americana. Ma probabilmente (e sfortunatamente) credo di essere uno dei pochi a pensarla così... Mah... Ma passiamo a questo incredibile disco... Allora... Tre cose saltano subito all’occhio (o, più precisamente, all’orecchio)...

La prima è l’incredibile, pulsante e dominante presenza del basso (pletrato) in praticamente tutte le canzoni, con linee fantasiose e mai troppo legate alle ritmiche imposte dalle chitarre. Al tempo molto giovane, il nostro Jason riesce a farsi notare comunque per dinamicità, precisione e virtuosismo con un suono sempre sugli scudi e tecnicamente ineccepibile che dona brutale profondità scenica e, oserei dire, “malignità” alle canzoni (quasi totalmente scritte dallo stesso Newsted sia nelle musiche che nei testi, che in questo lavoro ha la libertà artistica e creativa che non riuscirà mai ad ottenere nei Metallica).

La seconda consiste nella strana (per il genere) e altissima voce di Eric A. K. che con il suo timbro acuto e graffiante si allontana non poco dalle consueta proposta vocale dei gruppi Thrash in generale (molto più brutale e “incazzata” ) e si avvicina, a mio parere, alle prestazioni di cantanti Heavy classico della quasi contemporanea N.W.O.B.H.M. (e dimostra anche una venerazione, da parte del singer, per King Diamond)... Insomma... Una voce che, proprio a causa del suo discostarsi decisamente da quella di altri gruppi dello stesso movimento musicale, viene, molte volte (e tutt’oggi), criticata dai più, mentre, sempre personalmente, penso che si sposi benissimo con il suono di “Doomsday...” e che sia addirittura migliore (e più appropriata) di quella di molti altri cantanti thrash che vennero, e vengono ancora, osannati da critica e pubblico (chi ha detto Heitfield?).

La terza consiste nella manifesta e devastante voglia di sfondare da parte di un gruppo giovane, promettente e con tante idee, che esterna palesemente un affiatamento e una “carica divertente” che sorprende per freschezza e “genuinità” . Tutte le prestazioni dei vari elementi sono da sottolineare per carica e attitudine violenta, da quella dei due chitarristi Michael Gilbert e Edward Carlson, che ci regalano una cascata di riff affilati e rabbiosi, a quella del dinamico, preciso e veloce batterista Kelly David-Smith che si fa notare per inventiva e varietà.

La produzione è grezza come da tradizione per quegli anni (soprattutto nei debutti) ma rende il sound ancora più compatto e sincero. L’album risulta, nel suo scorrere, molto vario e si presenta (a larghe linee) come una summa di quello che è il metal americano di inizi anni ottanta (anche se molto legato al nascente movimento Thrash, e si sente)... Si passa con singolare naturalezza dai suoni Heavy-Speed della monumentale “Hammerhead” e della “nervosa” e “sclerata” “Desecrator” alle tipiche (ma non per il tempo) sfuriate di Thrash tecnico su pezzi come “Der Fuhrer” o la vorticosa “U. L. S. W.”, per poi affrontare ritmi più tipicamente classicheggianti con la magnifica “Iron Tears” (che si potrebbe ascoltare all’infinito) o la massiccia “She Took An Axe” (basata sulle macabre gesta di Lizze Borden). Ma c’è spazio anche per divagazioni Hard-Rock-oriented miscelate magistralmente con il sound Thrash by Bay-Area (scusate il gioco di parole) come sulla quadrata “Fade To Black”. Su tutte le tracce, però, spiccano, incontrastate per bellezza e attitudine, due pezzi che ritengo davvero memorabili ed in grado di confrontarsi alla pari con canzoni capolavoro del Thrash anni ottanta: le lunghissime e maestose “Doomsday For The Deceiver” e “MetalShock” (già citata precedentemente), due capisaldi del genere che valgono da sole l’acquisto del disco.

Un album da custodire gelosamente, che ha nella riuscita miscela tra melodia (tutt’altro che banale o immediata) e brutale assalto sonoro, il suo punto di forza. Insomma... Ci si deve proprio sforzare per trovare qualche difetto o qualche insicurezza in questo lavoro ma, se proprio vogliamo fare i puntigliosi, gli unici che si possano definire tali sono la non totale padronanza dei propri strumenti da parte dei due chitarristi durante gli assoli che risultano in alcuni casi non perfettamente eseguiti e con un po’ d’incertezze nell’inventiva melodica (ma cosa dovremmo dire della coppia Hannaman-King allora?) e l’orribile e banale copertina. In conclusione...

Questo è un album che non dovrebbe mancare nella bacheca di chiunque si definisca metallaro, ma che purtroppo non ha avuto il riscontro di pubblico e critica che avrebbe pienamente meritato e che si va a collocare, con tutti gli onori, ai primi posti della classifica: “Capolavori Incompresi”.

Peccato... Peccato davvero.

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