“Ormai faccio quello che voglio”.

Questo sembra il messaggio dell’ultima opera del Principe dei nostri cantautori. E questa è la frase realmente invidiata da chi l’arte apprezza e capisce, oltreché naturalmente da chi di arte vive o prova a vivere.
Sì, perché arrivare a questa libertà minimalista e quasi-battistiana è cosa non da tutti. E Lui, il Principe, le ha davvero provate tutte: da improbabili passaggi ai vari festivalbar e simili, alla pubblicazione di un numero imprecisato di dischi live (invero nessuno realmente inutile), alle partecipazioni coi grandissimi (De Andrè, Fossati…) a quelle con cantautori minori di culto (il gratello Luigi Grechi o Mimmo Locasciulli), alla distruzione sistematica e dylaniata delle proprie canzoni più belle (su tutti gli esempi possibili il – pur bellissimo - live “Bootleg”), alle lunghissime pause e, ora, alle brevissime pause… Neanche fossimo nei meravigliosi settanta/ottanta, quando era un quasi-dogma pubblicare almeno un disco all’anno.

Qui, a distanza brevissima dall’ottimo “Pezzi”, disco cantautoralissimo e di pura matrice “rock d’autore”, arriva bel bello, quasi in sordina, questo splendido “Calypsos”. Disco di culto, piccolissimo. Gioiellino. La copertina è battistiana, intendendosi con tale termine l’opera panelliana, quella dei cinque “bianconi” (che poi erano quattro bianconi e un marroncino, ad esser precisi). E non può essere un caso. Al Principe Lucio è sempre piaciuto molto: la citazione esplicita e ammessa della coda strumentale di “Vento nel Vento”, che così bene ha infilato alla fine della splendida “Leva Calcistica”, sta lì a provarlo. Così come un concerto estivo e temporalesco a Ricaldone, l’anno che Lucio morì, lo vide solo, sul palco, voce e chitarra, a cantare una sentitissima “Anche Per Te” di cui putroppo non rimangono, ad oggi, tracce registrate.
Così si legge “Francesco De Gregori” in alto, in mezzo “Calypsos” scritto a mano (e fin qui tutto uguale ai bianconi…), e sotto la bella idea di “9 canzoni nuove”, questa una quasi-citazione di Cohen. Tutto lì. Dentro, giustamente, i testi e i nomi dei musicisti.

Dal momento che a casa del Principe nulla accade a caso, è utile buttare un occhio a come il disco si apre e a come si chiude. “Cardiologia” è la classica ballata piano e voce. Di quelle che Francesco non faceva più da tempo. Che sembra uscita, per capirci, dalle session di “Scacchi e Tarocchi”, quasi fosse tratta dalle registrazioni che hanno visto nascere “La Storia” o “Ciao Ciao”, se non persino da prima (l’atmosfera di “Rimmel” è ricercata con docile forza). Qui si fa capire subito che il tono è quello, lontanissimo da “Pezzi”, ma sempre e ovviamente in quota di cantautorato alto.
Il disco invece si chiude con “Tre Stelle”, ballata leggera e rilassatissima dedicata alla grandezza, anch’essa minimalista, degli alberghini da tre stelle, che se la tirano poco, dove ci si sta benissimo, si spende poco e sono assolutamente concilianti amore e sonno.
In mezzo una manciata di canzoni brevi (il disco non arriva a quaranta minuti, il che è sempre un bene, dal momento che l’Arte non si misura a cottimo), serene, che citano gli anni cinquanta, il solito Dylan e più volte, consciamente o meno, il se stesso che fu e che ancora, evidentemente, è.

Questo è il disco di un uomo ed un artista sereno. Che non ha più nulla da dimostrare e lo sa benissimo. E che sembra volerci far capire che, innanzituto, non c’è da vergognarsi della propria saggezza, e poi che con l’Arte, quando si ha questa dimestichezza, ci si può e ci si deve divertire.
Facendo, appunto, quello che si vuole.

Emblematica la bella flemma e il saggio disincanto mostrati al solito giornalista che faceva la solita domanda “ma certo che è la dimensione live quella che tu…”, rispondendogli qualcosa che suonava più o meno così “mah… anche i concerti mi hanno un po’ stufato, magari quest’estate, una decina…ma vedremo”.

Ormai fa quello che vuole. E fa bene.

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Altre recensioni

Di  Francesco Genovese1

 Queste stupende nove canzoni a mio avviso sono delle meravigliose poesie musicate.

 Francesco De Gregori è il cantautore per antonomasia, e questo meraviglioso album ne è la riconferma.


Di  dellas

 «Cardiologia è un tuffo al cuore: poche volte De Gregori ha fallito quando si è presentato piano-voce, e non lo fa nemmeno ora.»

 «In onda è il capolavoro del disco: melodia liquida e sospesa che ricorda Atlantide, con una voce che commuove rischiando toni acuti mai sentiti da lui.»


Di  DeAnonymous

 Francesco il Degregori è sempre stato uno che imita Bob Dylan, ma non è Bob.

 Imitare così e passare tutta la vita a fare la tribute man del Dylan, ma questo Degringori non ce l'ha una dignità?