Il carattere di questo disco sembra essere figlio di una profondissima delusione. Un dolore di quelli che induce a rivedere la direzione artistica che si era intrapresa e che consiglia di lasciare lo sperimentalismo a tempi più adatti. Parlo della contestazione del Palalido (1976) e della crisi umana ed artistica che seguì a quell'episodio.

De Gregori si ritirò per due anni e alla fine se ne uscì con questo album, che abbandona ciò che il precedente 'Bufalo Bill' aveva lasciato intravedere in termini di azzardo musicale e letterario, per lasciare spazio a riflessioni in cui si muovono dolcezza ed umiltà. "Generale", un brano in cui il rifiuto della guerra non è espresso con proclami forti e slogan, ma con la reiterazione di immagini familiari ed intime quasi a trasmettere la distruttività interiore, ancor più che materiale, che un conflitto genera. Con "Natale" pare di sentire un'appendice al pezzo introduttivo, la stessa cura per la descrizione di una intimità assolutamente da preservare, stavolta con un cullante 12/8 ed una fisarmonica finale a farci sentire la neve. Con "L'impiccato" ci spostiamo in un ambito cronachistico-poliziesco, a narrare le vicende di un interrogatorio in un commissariato fra violenze, spietatezza e, alla fine, morte. Il "56" ribadisce la componente familiare, mentre "La Campana" ripercorre il doloroso iter del ritiro dalle scene.

"Renoir", in doppia versione, ritorna più ermeticamente sul periodo di esilio artistico, mentre "Babbo In Prigione" (gioiellino del repertorio del Nostro) racconta ancora una scena casalinga di violenza subita ed ora per fortuna lontana. "Raggio Di Sole" (dedicata alla nascita dei suoi gemelli) è una lirica espressione di ciò che attende sul percorso della vita. "Due Zingari" merita un'analisi più approfondita. E' uno dei brani più "cinematografici" di Francesco, un primo piano sui protagonisti che si raccontano e che, lentamente, come un carrello all'indietro, comincia a comprendere il contesto ambientale ove i due ragazzi si muovono, il campo e, alla fine, il mondo che passa indifferente alle loro vicende rappresentato dai camion sull'autostrada. In corrispondenza di quest'ultima immagine un oboe si insinua nel tessuto strumentale, come ad allontanare la prospettiva, per lasciare spazio all'assolo del sax (affidato a Mario Schiano), che consacra questo stupendo e disperato dipinto urbano.

In questo disco De Gregori tocca un lirismo forse più raggiunto, coadiuvato da un carattere musicale riservato ed acustico, basato essenzialmente sulle chitarre e sul pianoforte, attento a non previcare mai le confessioni di un'anima ferita. E l'album con cui Francesco spicca definitivamente il volo nel proprio cielo artistico, lasciandosi per sempre alle spalle incomprensioni e fraitendimenti sul proprio lavoro.

Nella carriera di De Gregori rappresenta forse il punto di snodo e, nel contempo, consegna agli ascoltatori un oasi di poetica e profondità emotiva.

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