Era il lontano 1987 quando De Gregori, particolarmente ispirato, fece uscire in commercio il suo ultimo grande album, "Terra di nessuno". Poi vennero, nell'ordine, "Miramare 19.4.89", mediocre, "Musica leggera", inutile, "Canzoni d'amore", banale, "Prendere e lasciare", pessimo, un paio di raccolte, "Amore nel pomeriggio", sopravvalutato. Segue, in maniera tutt'altro che casuale, un magniloquente (ma sostanzialmente inutile) tour estivo italiano insieme a Fiorella Mannoia, Pino Daniele e Ron.
Per tutti quei fans, accalorati e militanti, sentirlo canticchiare "Compagni di viaggio" mette i brividi e persino un pò di paura. Perchè il Principe, o forse dovremmo cominciare a chimarlo l'ex-Principe, non riesce più a comporre capolavori quali "Atlantide" o la magnifica "Leva calcistica della classe '68"? Viene da rispondersi non so, ma si rimane, inevitabilmente, delusi e, altresì, sconcertati. A chi lo rimprovera di non essere più politicamente schierato, o perlomeno di essersi cullato sugli allori, De Gregori risponde prontamente con un disco ferocemente militante, clamorosamente di sinistra, "Il fischio del vapore".
Non tutte le ciambelle però, riescono col buco. "Il fischio del vapore" è, indubbiamente, un disco coraggioso, persino demodè, una risposta convincente a chi, per anni, lo ha criticato e deriso. La passione c'è, De Gregori è vivo. Ma la troppa passione, il troppo coraggio, la troppa (o forse poca?) onesta intellettuale fanno del "Fischio del vapore" un lavoro curiosamente poco riuscito. Ci sono un mucchio di belle canzoni (siano esse di protesta, di sinistra, di chiara influenza comunista, alcune persino partigiane): "Il feroce monarchico Bava", "L'attentato a Togliatti", le immancabili "Saluteremo il signor padrone" e "Bella ciao". Accanto a De Gregori, suona e canta, la sessantenne Giovanna Marini, conosciuta soprattutto da un elité piuttosto ristretta di anarchici e comunisti militanti. De Gregori, che conosceva e amava la Marini sin dai tempi pionieristici del Folkstudio, sembra venerare la cantautrice quasi si trattasse di una Dea. Il Principe, intimorito e scostante, lascia ampio spazio musicale alla chitarra (peraltro non eccezionale) di Giovanna Marini e si limita, purtroppo, a canticchiare qua e là qualche strofa a mò di rattoppo.
E così, la forza anarchica e surreale delle canzoni (fra cui la contrastata "Il fischio del vapore") sembra perdersi e sfasciarsi in nome di una presunta intellettualità moralistica banale e disfattista. Qualcosina si salva, ma è poca roba ("Bella ciao", ormai diventata quasi un hit da riviera romagnola, fa sempre il suo bell'effetto) e va dato atto, a De Gregori e la Marini, di aver avuto coraggio e caparbietà nell'aver voluto riprorre al grande pubblico canti e filastrocche che, col passare dei decenni, rischiavano di scomparire o, addirittura, di venire dimenticate persino da chi, in gioventù, le aveva cantate e urlate. Intenzioni dunque lodevoli, risultato non eccellente. Tanta grinta ma poca cesellatura artistica: De Gregori, una volta tanto, s'accontenta e, come dice un vecchio proverbio italico, tira a campare. Non colpisce mai, non ferisce mai: tutto resta indissolubilmente in superficie. Questa volta, la passione e la militanza, hanno contribuito a livellare sotto il livello di guardia un disco interessante e faticoso, curioso e caparbio. Un disco che doveva poggiare tutta la propria forza sulle parole e che invece, ogni tanto, tende a dilungarsi in inutili e pedanti assoli musicali.
"Il fischio del vapore", prodotto dalla Sony, rappresenta per De Gregori un passo falso lodevole e ambizioso (il disco successivo, "Pezzi", è un capolavoro) e rappresenta, per la semisconosciuta Giovanna Marini, un punto di partenza e un inaspettata popolarità nazionale senile. Il disco ha venduto parecchio, ma meno di quello che la Sony sperava.
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