“Ma io non ci sto più gridò lo sposo e poi/tutti pensarono dietro ai cappelli/lo sposo è impazzito oppure ha bevuto...”

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A volte mi sembra di stare in un enorme gioco dell'oca dove a lanciare i dadi è la memoria e a ogni casella me ne sto mezzo intontito e fermo un giro. Che io, io mi ricordo un sacco di cose.

L'altro giorno, per dire, pensavo a me e a mia sorella e a quel pomeriggio che alla radio ci capitò di ascoltare per la prima volta Alice e allora lei fece tanto d'occhi e anch'io, insomma, ci rimasi.

Alice è una di quelle canzoni che c'è un prima e c'è un dopo, che una roba come il gran rifiuto dello sposo né io né mia sorella l'avevamo mai sentita.

Per non dire poi di tutte quelle strane figurine lanciate e sospese in aria: il mendicante arabo, Cesare perduto nella pioggia, Lilì Marleen.

Fini che mia sorella comprò questo disco, un'antologia delle primissime canzoni di Francesco De Gregori.

Scoprimmo allora il surreale nonsense di Niente da capire, il sogno d'infanzia de La casa di Hilde, l'incubo riuscito di Cercando un altro Egitto.

E pure quel tizio che diceva “Bene, se ci trovi anche dei fiori in questa storia sono i tuoi”.

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E così alla fine per noi cavrones arrivò un po' di raffinatezza.

Era il primo passo fuori da un labirinto di splendida ignoranza e, se anche suonava un po' irreale, aveva un senso. Come certi castelli di carte che dovrebbero cadere e invece, chissà come, non cadon mai.

Sempre di corsa dietro un pallone, in cerca del numero o del guizzo. Da piccoli si vuole essere in gamba, specie se stupidi, specie se maschi.

Il massimo era padroneggiare le schermaglie verbali, svettare in mezzo alle prese per il culo. E magari avere anche il record di flipper al bar.

Poi c'era il mondo spiato dal buco della serratura, ma ok, quello lasciam perdere.

Ma si può sapere che c'entravamo noi con la raffinatezza? E perchè mai non le abbiamo sputato in faccia? Senza contare che questo Francesco parlava strano. E nessuno parla strano nel natio borgo selvaggio.

Quella che andava bene per noi era roba più terra terra, Battisti che era epidermico e un filino sguaiato, Mina con quel suo “ma c'è di buono che al momento giusto tu sai diventare un altro”. Solo che poi il momento giusto non arrivava mai.

Massimo massimo potevamo cercare di capire se eravamo più simili a Bob Rock o al conte Oliver, o se, banalmente, ce ne stavamo nel mezzo come Alan Ford. Ma è anche vero che questa era una questione da non sviscerare troppo, farsi del male prima del tempo non ha tanto senso.

Insomma, sembrava che con noi Francesco c'entrasse davvero quasi niente. Vieni qui al bar a dirci “Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole, poi vedi cosa ti succede.

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Eppure non andò così. Sarà che erano i settanta, sarà che in qualche misterioso modo stavam crescendo.

Così alla fine, con quel discorso che filava chiaro, ma rimaneva li come sospeso, Francesco affascinò tutti.

E, in un mondo fatto solo di virgole e di punti, arrivarono interrogativo, esclamativo e anche quei puntini che di solito se ne metton tre.

Con in più tutte quelle cose da figo, tipo quella dello sposo. O del tizio che dice: “ma io non lo sapevo che era una partita, posso dartela vinta e tenermi la mia vita”.

Poi certo, noi mica lo potevam sapere che in Francesco trovavi il Dylan più ostico passato al setaccio della grazia. E, in una prospettiva più colta e surreale, anche Tenco e De Andrè.

Noi eravamo dei cavrones.

E comunque per me fu proprio amore.

Altre mappe, altre coordinate, come se mi si aprisse un mondo

Per certi versi, e in tutt'altra direzione, era come con Cochi e Renato, due che sembravano arrivati dalla luna e come Francesco parlavano una lingua nuova...

Non è durata molto, che piano piano Francesco è diventato come gli altri, prima si è fatto semplice, semplice, una strana freschezza che incantava. Poi il mistero se ne è andato del tutto e io ho lasciato perdere. Così vanno certi amori: o tutto o niente.

E, quando ancor oggi nel caos mi pare di vederlo, subito mi dico: ti stai sbagliando chi hai visto non è, non è Francesco...

Ma solo uno che gli somiglia e che, per carità, fa anche bellissime camzoni. Ma non è lui...

Non può essere lui...

Trallallà...

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