Ci sono due tipologie di Autori: i liristi puri e i musicisti puri, collocati ai due poli estremi dell'arte della canzone; i primi sono da sempre concentrati sulla dimensione poetica del testo, e volutamente collocano la musica (con tutti i suoi connotati stilistici ed estetici) in secondo piano; i secondi possono essere definiti artisti della canzone, più o meno sperimentatori, perchè l'arte musicale non può non essere sperimentazione altrimenti sarebbe una struttura sintattica senza tempo e senza semantica, fuori da ogni contatto emotivo con chi ascolta e con chi scrive; capostipite della prima corrente poetica è Francesco Guccini,  "il più colto dei Cantatori Italiani" (Umberto Eco); mentre musicisti (e si sottolinea musicisti) come Lucio Dalla e Franco Battiato occupano senza dubbio alcuno una posizione di massimo rilievo nella seconda scuola; manca Qualcuno? Come no!

De André non appartiene né all'uno né all'altro filone, pur essendo nella versione più scevra e meno "arrichitata" dai vari Mauro Pagani, Gian Piero Reverberi,  Nicola Piovani, Piero Carapellucci, Pfm, ecc, molto più "scarnificato" e assomigliante a un cantore sommo, molto più simile al citato Guccini, ma con una strumentistica assai ridotta, praticamente alla sola chitarra. Non si può del resto dire fino a che punto le due sfere lessico-sintattica e sonora pura si compenetrino,  cosa usi cosa e cosa ne sia usato, nè infine è dato sapere fino a che punto sia utile il pur interessantissimo dibattito sul tema del rapporto parole-musica.

Franco Battiato, "corpo estraneo nella musica italiana" come ama definirsi, quasi una sorta di incidente imprevisto, dopo le prove non esattamente esaltanti di "X Stratagemmi" e "Il Vuoto", con musica digitale rivestita di post-rock dagli Fsc, (band di Monselice, Padova) nonché il completamento della triade "Fleurs" torna con una collezione di canzoni che album non é, trattandosi di brani inediti, brani mai  pubblicati o brani altrui riletti. Diciamo subito nel merito dei contenuti brano guida che Battiato non è nuovo alle invettive, e che altresì è noto che la violenza del messaggio concettuale è inversamente proporzionale alla durezza del sound; in tal senso "Povera Patria" era l'invettiva politica più infuocata, ma non l'unica (qualcosa di simile si ritrova in "Ermeneutica"), ma mai come in questo caso il Maestro punta l'indice verso "un" protagonista dell'invettiva,  che ne incarna quindi la connotazione più negativa e odiosa

"Uno dice che male c'è a organizzare feste private
con delle belle ragazze
per allietare primari e servitori dello stato?
non ci siamo capiti
e perché mai dovremmo pagare
anche gli extra a dei rincoglioniti?
che cosa possono le leggi
dove regna soltanto il denaro?
la giustizia non è altro che una pubblica merce...
di cosa vivrebbero
ciarlatani e truffatori
se non avessero moneta sonante da gettare come ami fra la gente".

Tuttavia va aggiunto che l'episodio citato non è che un apparente pretesto per introdurre il contrasto tra spiritualità e materialismo, quasi antinomico, in quanto la scelta è d'obbigo e la direzione imboccata dall'umanità è purtroppo la seconda. La musica è in pratica un dejà vu del Battiato più electro, meno sperimentale (il termine va relativizzato)
siamo lontani non solo dal rock elettrificato ed industriale di "Gommalacca" ma addirittura da quello "travestito" de "Il Vuoto". Tuttavia la canzone ha l'effetto di risvegliare le coscienze con una scossa che non ci si aspetta, ecco perchè la musica può passare in secondo piano, potrebbe trattarsi anche di un testo musicato, o di una poesia recitata senza alcun altro strumento; l'effetto, per chi scrive è stato analogo alla presentazione del noto libro alla trasmissione Satyricon (del collega new-wave Daniele Luttazzi); non a caso Battiato si è recentemente così auto-definito "sono un Travaglio un pò più bastardo".

La misura è colma, e si sente: dopo l'horror vacui dell'ultima opera in studio, che conduceva ad un riempimento maniacale e quasi pre-rinascimentale di ogni angolo e spazio sonico, ecco un disco in cui la deflagrazione iniziale genera un concept guida quasi gestalt-iano; il tutto è superiore alla somma delle singole componenti, il che allude ad un pensiero riparatore e produce un modus operandi sicuramente più rilassato; a parte la lucidissima "Inneres Auge", e brani noti come  "No Time No Space" e "La quiete dopo un addio" stupenda è la rilettura di "Inverno" di Fabrizio De André, non una semplice cover ma una vera rielaborazione per piano, tastiera, archi e chitarra acustica; l'epitome in catanese di "U'Cuntu" tristissima, riprende il tema musicale della overture, scrittaancora a quattro mani con Manlio Sgalamro sembra una "povera patria" di proporzioni apocalittiche ma senza più frasi di invocazione di alcuna speranza ("il senno, stiamo perdendo il senno: ti stai accorgendo dove stiamo andando a finire?").

Tuttavia il probabile vertice dell'album, il gioiello più prezioso è un pezzo mai pubblicato prima se non nel singolo "Shock In My Town", vale a dire la spettacolare "Stage Doors", con uno dei più bei testi mai scritti da Battiato accelerazioni vocali effettate e schegge electro simili a riffs di chitarra. In definitiva strati e strati di poesia filosofica, come tentativo atto riparatore e consolatorio rispetto ad un mondo sempre più invivibile. 

Consigliato ai collezionisti, per gli altri: "Stage Doors" vale la candela.

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