Se gli anni Sessanta per Frank Zappa erano terminati meravigliosamente (cito solo due perle, "Hot Rats" e "Burnt Weeny Sandwich"), di certo non si poteva affermare la stessa cosa circa gli anni Settanta.

Partito in quinta con capolavori come "Chung's Revenge" e, soprattutto, il folle "The Grand Wazoo", zio Frank aveva deciso (volontariamente o involontariamente?) di tirare il freno, e aveva pubblicato solo qualche album interessante ma, sostanzialmente poco convincente ("Apostrophe", "One Size Fits All"), e solo il live "Frank Zappa in New York" appariva un pochino meno deludente. In simili condizioni (c'è da dire però che l'arte di Frank Zappa, ancorchè un pò frenata, era comunque assai deliziosa), nessuno si sarebbe aspettato una rinascita tanto esplosiva quanto convincente.

È l'anno di grazia 1979, e Frank Zappa realizza quello che, almeno secondo molti critici, può essere considerato il capolavoro zappiano per eccellenza, "Sheik Yerbouti" (oltretutto, in versione originale, si tratta pure di un doppio). Zappa si trova in mezzo a tempeste legali che gli impediscono, quasi beffardamente, di poter accedere al proprio personale archivio. Nonostante ciò però, zio Frank non si dà per vinto e riesce, dopo l'uscita del doppio Lp, a posizionarsi pesino nella hit-parade in zone caldissime (non gli succedeva da un bel pò). "Sheik Yerbouti" si basa, e vive, grazie alla fantasia geniale e folle di Frank Zappa capace di contaminare, in maniera estasiante, più generi musicali insieme, dal pop al rock, dalla psichedelia ai raffinati rimandi alla musica classica. E il tutto attraverso una serie di brani scomponibili a piacere, fondati, principalmente, su note musicali celestiali e testi mai banali o ridondanti.

Anche in questo album il montaggio sonoro mette i brividi (lo stesso Zappa lo definirà "xenocrony"), mentre la band, completamente rinnovata, vede in campo alcuni assi della musica che avrebbero fatto invidia a qualsiasi cantautore: Adrian Belew, il chitarrista, Terry Bozzio, il batterista, Tommy Mars, il tastierista. Buona parte del materiale è registrato dal vivo, durante i concerti o durante alcune registrazioni di prova, e gli inserti registrati in studio spesso riescono a superare, per magia e interpretazione, i brani live.
Da citare almeno la travolgente "City of tiny lites", la splendida "Wild Love", la famosissima "Bobby Brown" (uno dei brani più significativi del periodo) e "I have been in you", divertente parodia saccheggiata a Peter Frampton. La chitarra di Zappa vola altissima, ma è la straordinaria amalgama tra band e compositore che rende questo album unico e irripetibile.

Ci vorrebbero anni per destrutturare, e infine ricomporre, un brano come "Bobby Brown", apparentemente scanzonato e orecchiabile (anche se, in realtà, orecchiabile lo è davvero), eppure, sotto sotto, difficilissimo sia nella melodia sia nella ritmica perchè intrinsecamente complesso e musicalmente maniacale. E che la chitarra di Frank Zappa voli veramente alta lo dimostrano "Rat Tomago" e la lunghissima "Yo' Mama". È un periodo d'oro per Zappa, che, finalmente dopo anni, riesce a ricavarsi anche un 45 giri, "Dancin' Fool", e salire altissimo in classifica. Ma il colpo ferale Zappa lo sferra con una delle sue proverbiali gag, "Jewish Princess": si attira gli strali della comunità ebraica e rilancia, a gran voce, la propria inossidabile scorrettezza politica.

Niente male per uno che non può nemmeno avvicinarsi a toccare il proprio archivio! Primo disco prodotto dalla casa di produzione "Zappa", (casa di produzione che avrà come proprio periodo di vita il solo 1979), è uno dei pochi album di Frank Zappa amato dalla critica quasi subito e dal pubblico senza aspettare revisionismi o rivalutazioni.

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