Agli albori degli anni settanta Free e Led Zeppelin, i due migliori act rock blues sulla piazza, ebbero quasi la stessa idea per il loro rispettivo quarto album: copertina anonima nelle diciture e dimessa nell'aspetto. Gli Zepp fecero a meno addirittura di stampare il numero di serie del disco, oltre che del titolo e del nome del gruppo. I Free si limitarono ad omettere il loro nome, rendendo in questo modo fuorviante il titolo dell'album che, in collaborazione con la smunta e sfuggente copertina contenente le loro facce assai poco riconoscibili, fece credere a molti di essere al cospetto di un gruppo esordiente chiamato "Highway" invece che del seguito dell'osannato e magnifico "Fire And Water", uscito solo sei mesi prima.

Ah, se avessero aspettato altri sei mesi!, il tempo di poter comporre e farcire l'album con altre due o tre songs "forti".

La troppa fretta di dare un seguito al successo precedente e l'incoerente, ingiustificato basso profilo grafico fecero obiettivamente i loro danni: il passo indietro a livello commerciale fu netto, e non vi furono poi le circostanze per una consistente rivincita, entrando la carriera dei Free in problematiche autodistruttive (protagonista il chitarrista extraordinarie Paul Kossoff, un drogatone patentato) e di rivalità (protagonisti i due galletti del pollaio, il cantante Paul Rodgers ed il bassista Andy Fraser) che portarono ad opere via via meno epocali, a cambi sistematici di formazione e ad un precoce canto del cigno.

Cosicché questo ed il già nominato "Fire And Water" (entrambi del 1970) restano i due migliori lavori dei Free, il più carismatico ed influente complesso di British Blues di tutti i tempi (teniamo gli Zeppelin fuori classifica, visto che essi sono molto altro che British Blues, tanto da poterli infilare, e vederli vincere, nelle classifiche più ampie ed eterogenee possibili!).

Come il Dirigibile, Free era un quartetto voce/chitarra/basso/batteria comprendente ben tre fuoriclasse, con la differenza che l'unico musicista "normale" nei Free suonava la batteria e non il basso. Simon Kirke è batterista solido e pestone, molto lineare, adattissimo alla musica scarna e cadenzata, eppur potente e viscerale, messa a punto dal gruppo. Il suo socio di sezione ritmica Andy Fraser era invece un vero genietto, la vera forza propulsiva del gruppo. A quattordici anni Andy calcava già i palchi di Londra, suonando il blues con i più grandi; a diciassette fondava i Free, a diciannove dava la sua impronta personalissima anche a questo quarto album della formazione. Due erano le sue qualità salienti: grandi capacità di songwriting (erano suoi i riff portanti, le intuizioni armoniche dei grandi affreschi rock blues della band), nonché nitida ed autoritaria fantasia esecutiva sul suo strumento. Aiutato dalla presenza di un chitarrista molto economo negli interventi, da un batterista metronomico ed essenziale e dal tipico procedere sincopato della musica, da lui stesso per buona parte concepita, il suo basso aveva enorme spazio sonoro entro cui muoversi sornione ed imprevedibile, fregandosene altamente della cassa della batteria o di altri, tipici punti di riferimento per i bassisti e scorrazzando felicemente e creativamente, senza però mai strafare, entro il tessuto ritmico e armonico dei pezzi.

Il giovane Paul Rodgers in questi solchi dispiega la sua puntuale voce della madonna. Lui ci è proprio nato, col suo timbro sexy e mobilissimo, e il fatto che qui abbia ancora vent'anni non fa differenza: il suo è un canto maschio, vissuto, maturo, convincente soprattutto nei due grandi pezzi che nobilitano l'album, il super rock di "The Stealer" e la ballata blues "Be My Friend", interpretate con il cuore in mano, le gonnelle a tiro e il testosterone ad occhieggiare. Dal mio punto di vista assai inadatto di maschio adulto ed etero, provo a dire di trovare comunque femminilmente irresistibile il procedere smargiasso di questo grandioso cantante fra i riff saltellanti e trascinanti della prima di esse, oppure le toccanti invocazioni disseminate fra gli arpeggi e gli staccati della seconda (un blues della madonna, probabilmente la più grande canzone dei Free).

Eh sì, Fraser Rodgers e Kossoff sarebbero potuti andare molto più lontano, più lontano di tutti se fossero riusciti a coabitare per almeno una decina di anni. Rodgers troverà una sufficiente alternativa a Kossoff nei suoi futuri Bad Company (con Mick Ralphs, chitarrista altrettanto economo ed ispirato, solamente meno accorato ed emozionante) ma non troverà mai uno come Fraser, compositore migliore di lui e bassista unico nel suo stile.

Inaudito il basso profilo di Fraser dall'uscita dei Free in poi, finchè ha avuto voglia di provarci (non tanta) nel business musicale. Un musicista che ha dato il suo meglio da quindicenne fino a ventenne!

Kossoff se n'è andato a ventisei anni, stroncato da un infarto, strafatto di cocaina. Ne aveva diciotto quando gli capitò di dare un paio di lezioni di chitarra all'allora ventiquattrenne Eric Clapton, al tempo nei Cream e già nel mito, che lo approcciò così: "Ehi, ragazzo, fammi vedere un po' come fai con quel vibrato veloce, che lo voglio usare anch'io!". Un musicista unico, un tocco fenomenale, di quelli che ti uccidono con tre note, senza bisogno della velocità, della complessità, stando sulla scala blues, sulla pentatonica, e mandandoti in estasi. Non è ciò che suonava, è come lo prendeva, come ci "entrava". Legioni di chitarristi ancor oggi studiano il suo suono, il suo fraseggio, il suo tumultuoso approccio colle sei corde così spartano, così focoso; ogni nota una pennellata, un soprassalto, uno sballo. Un drogato di talento, come tanti all'epoca, e purtroppo uno di quelli non sopravvissuti, che dispiacere!

Grande Koss! Anche quest'album è nelle pagine del tuo passaporto, mai scaduto, per l'immortalità.

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