Il bene e il male che si fondono, si mescolano, si rotolano assieme. Il bene e il male che si sporcano ognuno dei colori altrui fino a cancellare i bordi, perdendo il senso di tutto quello che la vita insegna. Angoscia per quello che si dovrebbe essere e pena per quello che si è.

Quando Schiller - assalito dallo Sturm und Drang, con Shakespeare e Rousseau nel cuore - scrisse i Masnadieri aveva la mia età. C’è forza nelle sue parole. Tanta violenza e tanto amore, tanta voglia di vita e tanta voglia di prendersela ad ogni costo. Mi mette a disagio pensare di aver potuto proseguire per la mia strada senza averlo letto. Mi intimorisce pensare che tutto quello che avrei voluto dire e fare è stato già scritto e detto in questo dramma tedesco che pretende Kant e la sua fase critica, che pretende Nietzsche e Dostoevskij.

La forza di essere se stessi, nel bene e nel male, con pregi e barbarie, alla ricerca della propria dimensione, della propria terra, del proprio angolo in cui ripararsi dal mondo. Il mondo, il mondo cinico e cattivo, svincolato dalla morale, perso nelle sue perversioni e nella propria cattiveria. La rivolta per sentirsi vivi e pulsanti, per infrangere la barricata che il mondo frappone tra noi e la nostra felicità, per alzarsi sulla folla sempre uguale, ieri come oggi. Un fratello cattivo perso nell’utile, assetato di poteri che non ha e che non potrà mai avere. Accecato dall’invidia esilia il fratello per uccidere il padre, attenta i cuori delle amanti. E’ brutto Franz. Il suo cuore lo rende brutto, schifoso, mentre Karl vaga per il mondo, bello come un Dio infelice, e uccide chi crede di dover uccidere, come il suo cuore tradito gli impone di fare. Tenderà al bene pur sapendo di non coglierlo mai. Potrà sfiorarlo, ma non arriverà mai a prenderlo perchè ogni azione morale è incatenata al diritto positivo e profano che l’uomo decide di condividere. Le sue previsioni tutte errate, il suo stesso essere errato. Allora Karl, col capo chino, ucciderà un’ultima volta. Ucciderà il proprio cuore prima di uccidere quello che è stato.

Quando scrisse queste parole sapeva che l’avrebbero segnato. Nessuna rappresentazione, la plebe non capirebbe, nessuno è mai pronto per assistere alla desolazione della propria vita, ma poi si lascia convincere dagli eventi, dal successo. Ci sarà una prima, tutti alla prima che soltanto una prima resterà. Schiller in catene, arrestato. Gli viene proibito di scrivere altre opere teatrali. C’è troppa forza nelle sue parole.

Mi ero ripromesso di non pubblicare mai più niente a mio nome, ma Schiller ha preteso, mi ha imposto, queste parole - belle o brutte non importa nulla. Non potevo tacere, non potevo rimanere indifferente al suono che le sue parole, scontrandosi, hanno nella mia mente. Nessuno rimane indifferente a Schiller, al suo inno alla vita e all’impossibilità della vita. Bene o male è solo un inno alla gioia. L’inno alla gioia nato dall’assoluta potenza che le parole di Schiller impressero nella fantasia di Beethoven, a lui come a tutti gli altri.

Fratello... Io ho visto gli uomini, le loro preoccupazioni da api e i loro enormi progetti... i loro piani divini e i loro affari da topi, la loro strana e maravigliosa corsa alla felicità; uno si affida allo slancio del suo destriero, un altro al fiuto del suo asino, un terzo alle sue stesse gambe. Questa multiforme lotteria della vita nella quale alcuni puntano la loro innocenza e il cielo stesso per acchiappare il numero vincente... Ma vengono estratti degli zeri... e alla fine di numeri vincenti non ce ne sono. E' una commedia, fratello, che ti fa uscire le lacrime dagli occhi mentre ti fa venir voglia di ridere.

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