Prima di ascoltare questo disco, sfoggiando una spavalderia culturale che normalmente non mi appartiene, ero certo di avere una più che buona conoscenza del genere funk.
L'equivoco nasceva dal fatto che questa etichetta veniva spesso associata alla musica di uno dei gruppi che più avevo amato nella mia adolescenza, i Red Hot Chili Peppers. Mi convinsi che questa consuetudine, lungi dall'essere il risultato della solita procedura di inscatolamento delle band in un genere musicale-etichetta, rispecchiasse al contrario e con buona approssimazione una certa congruenza fra lo stile dei Red Hot e i dettami propri del "funk", questa creatura misteriosa.
Inutile dire che mi sbagliavo. E quanto.. Certo, è innegabile che i primi lavori dei "peperoncini" (in particolare "Freaky Stiley" ma anche i successivi, anche se in misura molto minore) suonano molto funk. Ma IL funk propriamente detto è una cosa diversa. Molto diversa.
Ecco, questo "One Nation Under A Groove" del '76 è la migliore risposta possibile alla domanda "che cos'è il funk". Questo vuol dire tutto, anche se in effetti non dice niente. E una cosa deve essere subito chiarita: questo non è assolutamente l'album da ascoltare se ci si sta avvicinando al genere per la prima volta. In tal caso infatti, per non rimanere irreparabilemte traumatizzati, sarebbe meglio cominciare da artisti più famosi nel mainstream, James Brown ad esempio, certamente meno estremo e più attento all'orechiabilità e all'immediatezza delle melodie.
La lunghezza media delle canzoni, siamo sui sei minuti, offre una prima potente argomentazione alla mia tesi. D'altra parte, più dei minuti, è la complessità intrinseca dei pezzi a rendere l'ascolto dell'album davvero ostico ad un orecchio inesperto. Ritmica sghemba fino all'inverosimile, giri di basso formidabili (si pensi alla splendida "Groovallegiance"), chitarre che gracchiano dappertutto con assolo striduli ai limiti della sopportabilità (sempre per un orecchio vergine s'intende..), performances vocali bizzare, a volte corali, altre volte parlate, altre volte ancora ridotte praticamente a mero brusio, come nel caso della impronunciabile "Promentalshitbackwashpsychosis Enema Squad (The DooDoo Chasers)", che, come sembra suggerire la lunghezza del nome, si spalma su oltre 10 minuti di puro delirio funky.
In questi pezzi risulta alquanto evidente come l'orecchiabilità sia sacrificata a vantaggio della complessità e dello sperimentalismo, a volte smisurato. Si pensi, ancora, alla rockeggiante "Lunchmeataphobia (Think, It Ain't Illegal Yet!)", sorretta da un riff quasi hard-rock (!!!). Certo, in questa "selva selvaggia" vi sono anche pezzi più "ortodossi", in grado di colpire al primo ascolto; ne sono un esempio la saltellante "Into You", con il suo andamento sincopato, o la spassosissima "Who Says A Funk Band Can't Play Rock !", peraltro piuttosto famosa. Ma evidentemente rappresentano un'eccezione non la regola.
Una nota a parte meritano poi i due pezzi strumentali che chiudono il disco, "P.E. Squad, Doo Doo Chasers ('Going All-The-Way Off' Instrumental Version)" e "Maggot Brain", quest'ultimo una rilettura del pezzo omonimo già comparso nell'album "Maggot Brain" del '71. Entrambi disegnano delle atmosfere davvero uniche, a loro modo evocative, che vanno oltre la "semplice" goliardia dei pezzi precedenti. Tecnicamente parlando, l'assolo di chitarra in "Maggot Brain", per quanto non particolarmente diverso da quello già sentito nell'altra "versione", è memorabile e si piazza fra i 100 assolo di chitarra più belli della storia.
In conclusione, per esperienza personale, consiglio di assumere questo disco a piccole dosi, tanto più piccole quanto più l'orecchio è inesperto. Se invece siete già appassionati del genere, allora lo troverete subito irresistibile.
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