Ci fosse una cinepresa sembrerebbe la scena di un film. La regia lenta passerebbe su di me intento a pigiare i tasti del pc mentre gli occhi si alzano in alto a destra in disperata ricerca di ispirazione. Sono sul salotto bene della casa dei miei; non c'è nessuno e mi permetto di sporcare il loro immenso impianto audio con le note del mio album preferito. Il volume è alto, ma per 200 metri non ci sono che vigneti. Io godo della situazione e scrivo.

PROTAGONISTI

I Gamma Ray sono una delle band più famose in ambito power ed io sono un loro fan. Credo, a differenza dei più, che il meglio lo abbiano offerto nella prima parte della carriera con album originali come "Insanity & Genius", "Sigh No More" ed "Heading For Tomorrow". Rispetto molto anche i successivi "Somewhere Out In Space" e "Powerplant", ma già lì si intravede più mestiere, grande mestiere, nel riproporre un sound consolidato e ahimè sempre maggiormente stereotipato. "Land Of The Free" è in mezzo al loro iter d'evoluzione: è un caso a parte. Un meraviglioso caso a parte che merita di essere analizzato.

APICE  

Gamma Ray significa Kai Hansen. L'ex fondatore degli Helloween quando lasciò le zucche nel '88 voleva fondare una band con lui, solo lui, al centro. "Land Of The Free" è Kai Hansen al massimo splendore e per chi conosce minimamente i primi Helloween sa che questo significa livello vertiginoso. Credo senza mezzi termini che con questo album si sia superato.

Non è solo una questione di canzoni prese singolarmente. "Land Of the Free" è un'utopia che i Gamma Ray ci fanno vivere con un prodotto variopinto da assaporare in un continuum, senza pause o distrazioni di sorta. Si parte con un arpeggio elegante nel mid tempo epico e sorprendente intitolato "Rebellion In Dreamland" per proseguire con la summa dello speed metal "Man On A Mission". Canzoni complesse e senza cedimenti che non si ripetono, ma crescono e deviano in break originali capaci di rendere ancora più saporito il ritorno alle strofe ed ai cori. Che l'ispirazione sia massima lo si capisce dagli intermezzi strumentali dell'effimera durata di un minuto: ora pura adrenalina, ora perfetto collante tra i brani. Heavy metal senza compromessi ("Gods Of Deliverance", "Salvation's Calling") e metal melodico e mutevole ("All Of The Damned") si susseguono tra assoli sentiti della coppia di chitarre gemelle e la sezione ritmica fuori dall'ordinario per come sa domare le continue ripartenze. Il lento "Farewell" viene arricchito dalla presenza di Hansi Kursch capace di mettere un po' di ferraglia e sporcizia in tanta bontà melodica. E' una scaletta scevra di cali e nel finale ci sono ancora molti colpi in canna. L'ipnotico intro della title track è puro genio che rende il bridge/chorus di devastante presa sull'ascoltatore. Con "Abyss Of The Void" lanciata da un intro epico si raggiungono vette impensabili. Hansen/Schlachter ci fanno capire cosa significhi amalgama in fase di assolo e per tutta la canzone siamo accerchiati da backing vocals, controtempi, cori pomposi, pause e crescendo sottolineati da virtuosismi passionali e sentiti. Il cd dopo un ritorno al passato con Kiske in "Time To Break Free" si conclude con "Afterlife". Nel 1993 Ingo Schwichtenberg, batterista e fondatore degli Helloween assieme all'amico Hansen, si suicidò gettandosi su un treno in corsa. Solo sapendo questo si può provare qualcosa di diverso nel cantare le strofe quasi urlate e piene di sofferenza nelle quali Kai saluta l'amico e gli dà appuntamento dopo la morte.

Da un punto di vista tecnico a meno che non si voglia giudicare senza sentire, e per mero partito preso, credo che ci sia poco da dire. Vorrei sottolineare la prova di Jan Rubach. Bassista quasi dimenticato e di indiscusso talento che in questo cd mette la firma con costante precisione e forma con Thomas Nack una sezione ritmica da applausi. Hansen torna al microfono dopo Walls Of Jericho e canta con passione incredibile. Non è un talento, ma rispetto all'86 la sua pronuncia è lievitata e non si cimenta esclusivamente in acuti ma interpreta le canzoni mostrando varie tonalità e saggiamente si affida alle backing vocals, che in questo album sono state curate nei minimi dettagli. Delle chitarre ho già parlato: una coppia gemella che si spartisce assoli più o meno veloci con facilità e pulizia sonora totale. Le canzoni sono assai varie e vengono alternate in modo perfetto grazie all'innesto di intermezzi che spezzano la monotonia. Non mi resta che fare un plauso alla copertina sobria e particolare (l'unica maglietta che mi sono comprato) in simbiosi con testi pieni di speranza/paura e senza il minimo riferimento al satanismo/storie fantasy: gli estremi che molti ignoranti credono siano i soli temi usati nel metal.

FUNERALE

Nel 1995 il power era un genere abbastanza conosciuto, ma ancora di nicchia. "Land Of the Free" ha svelato (assieme a "Visions" e "Imaginations From the Other Side") questa costola del metal al grande pubblico. Il risultato è stato devastante: pura esaltazione per molti giovani che hanno formato innumerevoli band clone senza avere le capacità tecniche e compositive dei maestri. Si, sulla base dei miei oltre 250 cd originali del genere agoniatamente comprati, posso dire che "Land Of The Free" è stato al contempo l'apice e funerale del suddetto filone musicale. Un cd semplicemente immancabile per ogni rockers. Straordinario esempio di power metal che non c'è e mai ci sarà nel futuro. Ringrazio l'utente "mista" che mi ha consigliato l'acquisto del cd.

 

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