Malinconia.
Una parola che racchiude in sé molteplici sfumature, che possono variare di intensità a seconda di come la si interpreta, o la si vive. Fondamentalmente uno stato dell'anima, la malinconia può nascere da un vuoto, da una mancanza, un qualcosa a cui si tende ma che al momento risulta irraggiungibile. Può essere intrisa di un sapore nostalgico, a volte positivo, a volte negativo, a seconda dei ricordi che affiorano e che la rendono tale. Come stato dell'animo umano pertiene alla sfera della psiche, del personale, ed è difficilmente traducibile in parole.
Esistono però catalizzatori di tali stati emozionali, e la musica è uno dei più forti che mi viene in mente. Ciclicamente scopro un disco che fa riaffiorare emozioni più forti di altri, e che, dopo pochi ascolti, mi lega ad esso per momenti che sembrano eterni. L'ultimo di questi è l'unico edito nel 1969 dai Gandalf.

Uscito dopo lo scioglimento del gruppo (il cui nome originario era The Rahgoos), l'album è stato per anni fuori produzione, prima che gli archeologi dell'etichetta Sundazed lo ripubblicassero due anni fa.
In questi 32 minuti non vi è traccia di Hobbit, né di Sauron, nè di Gran Burrone, né tantomeno, musicalmente parlando, di suite chilometriche stile progressive. Grazie a poche ingegnose scelte strumentali (un echobox applicato alla voce del cantante Peter Sando, un utilizzo pacato degli archi e un Hammond B3 a cadenzare il tutto) i nostri crearono un lavoro di rara bellezza lirica e psichedelica. Una psichedelia che si scostava dalle produzioni del tempo, anche per la scelta di suonare pezzi altrui, e che non si perdeva in divagazioni strumentali, ma evocava con la sua semplicità immagini ed emozioni vivissime.
Sentire per credere l'iniziale Golden Earrings (in cui si può scambiare Sando per un giovane Plant), formalmente classica, ma con un retrogusto misterioso ed epico. O Hang On To A Dream, piena di echi e riverberi, in cui un Hammond doorsiano ci culla per poi esplodere veemente in primo piano. Ma è la voce di Sando il punto di forza dell'album, l'elemento catalizzatore delle emozioni che provo e spero qualcun altro abbia provato prima di me.

Alla fine della tormentata Watch The Moon (una delle due canzoni originali del gruppo), mi ritrovo con la sigaretta in bocca a guardare dal terrazzo il cielo opaco di Tokyo, sapendo che la malinconia passerà e che la luna si trasformerà in un viso biondo e sorridente.

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